ROMA. – I gioielli e i dipinti della Casa del bracciale d’oro, gli argenti del servizio da tavola ritrovato anni fa a Moregine, il cratere in bronzo senza eguali di Giulio Polibio. Ma anche la scritta a carboncino che ha spostato in ottobre la data dell’eruzione, il “tesoro della fattucchiera” con gli amuleti colorati ritrovati nella Casa col giardino, persino i calchi dei due fuggitivi frutto degli scavi di qualche mese fa nella villa di Civita Giuliana.
Ad una settimana dalla prima riapertura al pubblico avvenuta il 18 gennaio, Pompei rilancia svelando il nuovo Antiquarium, ristrutturato e trasformato in un vero e proprio museo della città, che ne racconterà la storia, dall’epoca sannitica alla distruzione del 79 dopo Cristo. E nello stesso tempo ne esporrà i tesori più preziosi insieme ad una gran parte delle scoperte più clamorose degli ultimi scavi.
L’inaugurazione è prevista per lunedì 25 gennaio. “Tanti pezzi iconici esposti nelle mostre in giro per il mondo non erano in realtà a disposizione dei visitatori di Pompei – spiega all’ANSA Luana Toniolo, funzionario archeologo responsabile del nuovo Antiquarium – per ragioni di sicurezza erano custoditi nei nostri depositi”.
Ora invece tutte queste meraviglie, ori, dipinti, statue, arredi, saranno a disposizione dei visitatori, anima di un racconto che funzionerà come un’eccezionale introduzione alla visita della città antica in un percorso che si dipana lungo undici sale, supportato per chi vuole da un “chat bot”, ovvero un assistente digitale, per farsi un’idea delle tante diverse stagioni vissute nei secoli da Pompei ancora prima che diventasse la grande città che conosciamo, cristallizzata nel tempo dalla tragedia dell’eruzione.
Inaugurato da Giuseppe Fiorelli nel 1873 e ampliato da Amedeo Maiuri nel 1926, poi devastato dalle bombe nel ’43 e quindi dal terremoto nel 1980, l’Antiquarium di Pompei è rimasto a lungo un luogo polveroso e chiuso. Il Parco lo aveva riaperto già nel 2016, ma il progredire degli scavi, sottolinea oggi il direttore del Parco Massimo Osanna, ha reso ancora più forte la necessità di un museo che recuperasse la magia delle intuizioni di Maiuri, che della Pompei di oggi è stato un po’ il padre, aprendosi nello stesso tempo al futuro.
Da qui il progetto, messo a punto dallo stesso Osanna con Luana Toniolo e Fabrizio Pesando. Curato da COR arquitectos & Flavia Chiavaroli, l’allestimento, spiega Toniolo, ha puntato a creare spazio e luminosità e insieme a ritrovare l’atmosfera dell’Antiquarium pensato da Maiuri, recuperandone le gallerie originali e in qualche caso anche restaurando le vetrine degli anni ’50. Persino l’insegna montata sul portone in ferro e vetro richiama quel periodo.
Tant’è, varcata la soglia, il primo impatto è proprio lo stupore. Con una sala, non a caso intitolata Summa Vesuviana, dove si raccolgono oggetti di tutte le epoche della città. E la sensazione è forse quella che dovette cogliere Roque Joaquin de Alcubierre , l’ingegnere militare del re di Napoli Carlo III che nel 1748 fu il primo a scavare a Pompei.
Dieci anni prima era stato lui a scoprire Ercolano, ma qui fu diverso, dagli scavi emersero con facilità tante di quelle meraviglie da stravolgere il mondo rivoluzionando il rapporto con l’antico. Ci volle tempo perché gli scavi a Pompei diventassero scientifici e sistematici.
Alla fine quella che l’Antiquarium ci restituisce è la storia di una città di una certa importanza, che già prima di Roma dal VII al VI secolo a.C. era un centro di cultura sannitica, con mura e templi imponenti che qui sono testimoniati dai fregi, come la metopa in tufo del Tempio Dorico con il sacrificio di Issione .
Ci furono poi l’alleanza con Roma e il benessere del ‘Secolo d’oro’, dal II sec. a.C., l’epoca dei mercanti, delle grandi costruzioni, delle abitazioni di lusso dove anche i capitelli erano riccamente istoriati. Per arrivare all’assedio delle truppe di Silla – in mostra ci sono le palle lanciate contro le mura della città dalle catapulte romane – e alla nuova vita come colonia dell’impero.
Che non fu priva di avvenimenti, come il devastante terremoto che nel 62 dopo Cristo distrusse mezza città e aprì le porte ad un decennio fitto fitto di ricostruzioni: a testimoniarlo, oltre ad un incredibile basso rilievo, persino le ciotole con i pigmenti colorati ritrovate dagli archeologi nelle tante case nelle quali al momento dell’eruzione c’erano ancora lavori in corso.
L’ultima tappa, per forza di cose la più emotiva, è proprio per la tragedia finale, con i calchi più iconici, quello del cane ad esempio, ma anche i corpi ritrovati nella Casa del bracciale e quelli dei due uomini – forse un padrone col giovane schiavo- che cercavano la salvezza in uno scantinato della villa di Civita Giuliana.
Una morte improvvisa e violenta, in autunno come testimonia l’iscrizione a carboncino che qui è esposta (in copia, l’originale è stato lasciato in situ), perché proprio grazie ai nuovi scavi, quello che per tanto tempo è stato un dubbio ora appare una certezza: l’apocalisse di Pompei è arrivata il 24 sì, ma di ottobre, quando già faceva freddo, nelle case ardevano i bracieri e sulla tavola c’erano fichi, castagne, melagrane, negli otri il vino nuovo. Per Osanna un’occasione assolutamente da non perdere: “Pompei, ha finalmente un museo- dice- ed è unico”.
(di Silvia Lambertucci/ANSA)