Non si adegua a legge bavaglio, guerra Turchia-Twitter

Uno striscione con il logo di Twitter.

ISTANBUL. – La Turchia punisce la resistenza di Twitter. Da oggi, il social network americano non potrà più ricevere introiti pubblicitari nel Paese per non aver accettato di adeguarsi a una controversa normativa sui giganti del web, ritenuta da opposizioni e ong un “bavaglio” alla libertà d’espressione. Una sanzione che giunge dopo le multe milionarie dei mesi scorsi e colpisce anche Periscope, controllata da Twitter, e Pinterest.

La legge, entrata in vigore a ottobre, impone alle piattaforme con oltre un milione di visitatori unici al giorno di nominare un rappresentante legale in Turchia, responsabile dei contenuti e della loro eventuale rimozione entro 48 ore su richiesta dell’autorità giudiziaria.

Una norma che suscita allarme, in un Paese che solo nel 2019 ha bloccato l’accesso a oltre 400 mila siti, 10 mila video su YouTube, 40 mila tweet e più di 6 mila post su Facebook. Alla vigilia della nuova stretta, Facebook aveva invece ceduto alle pressioni, insieme alla controllata Instagram, allineandosi a quanto fatto dalle altre piattaforme coinvolte, da YouTube a TikTok.

Una scelta problematica, tanto che la compagnia di Mark Zuckerberg aveva voluto ribadire l’impegno a restare uno spazio di “libertà d’espressione” sul web. “Ci auguriamo che Twitter e Pinterest facciano ciò che è necessario nel più breve tempo possibile”, ha dichiarato il viceministro delle Infrastrutture turco Omer Fatih Sayan, utilizzando per il suo messaggio proprio il social sanzionato.

Il bando, ha avvertito l’esponente del governo di Recep Tayyip Erdogan, “sarà minuziosamente controllato dalle nostre istituzioni”. Una situazione che allarma le ong, che da mesi denunciano i rischi connessi a una normativa che prevede anche la catalogazione dei dati degli utenti in server locali, sollevando timori sul possibile uso delle informazioni per le migliaia di procedimenti penali con accuse di “offese al capo dello stato” e “propaganda terroristica”.

In Turchia i social rischiano di “diventare strumenti di una censura di stato”, è l’allarme lanciato da Amnesty International. In caso di ulteriori resistenze, Twitter e gli altri ribelli rischiano entro giugno una riduzione della larghezza di banda fino al 90%, equivalente a un sostanziale oscuramento.

Un braccio di ferro che rappresenta solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di censure e restrizioni di Ankara, dall’oscuramento dei social durante le proteste di Gezi Park del 2013 al blocco di Wikipedia, durato oltre due anni e mezzo.

Malgrado la grande popolarità su queste piattaforme, è stato proprio Erdogan a spingere la riforma per “mettere ordine” nel settore, dopo alcune offese sui social alla figlia Esra e al genero ed ex ministro delle Finanze Berat Albayrak.

Nei giorni scorsi, il leader di Ankara si è anche fatto promotore di un boicottaggio di WhatsApp per le nuove regole sulla privacy, trasferendo le comunicazioni ufficiali del governo a Telegram, app di messaggistica fondata dall’imprenditore russo Pavel Durov, e a quella locale Bip.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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