Riesplode la rabbia in Tunisia, scontri e 600 fermi

Agenti di sicurezza di Tunisia vigilano una strada dopo gli scontri con manifestanti., in Ettadhamen, Tunisia,
Agenti di sicurezza di Tunisia vigilano una strada dopo gli scontri con manifestanti., in Ettadhamen, Tunisia, EPA/STR

ROMA. – Delusione, frustrazione, rabbia. A dieci anni dalla Rivoluzione dei gelsomini, le mancate riforme economiche e la crisi provocata dal Covid hanno fatto riesplodere la protesta nelle piazze di tutta la Tunisia in un crescendo di violenza e repressione da parte di polizia ed esercito dagli esiti imprevedibili.

Per la terza notte consecutiva saccheggi, pneumatici incendiati e sassaiole contro le forze di sicurezza hanno scosso i sobborghi di Tunisi – Cité Ettadhamen, Mnihla, al Intilaka – e gran parte delle città del Paese: Sbeitla, Nabeul, Beja, Kasserine, Jelma, Menzel Bouzalfa, Sousse, Gafsa, Biserta, Sidi Bouzid, Korba, Tebourba.

Le forze dell’ordine hanno fatto uso di lacrimogeni e di fronte all’impossibilità di domare le proteste le autorità hanno dispiegato l’esercito in diversi governatorati “al fine di proteggere le istituzioni e prevenire qualsiasi atto di caos”, come ha spiegato il portavoce del ministero della Difesa, Mohamed Zekri.

Durante la notte lo stesso presidente della Repubblica, Kaies Saied, ha supervisionato le operazioni di controllo di ordine pubblico alla centrale del ministero dell’Interno della capitale.

Sono giovani e giovanissimi i protagonisti dei disordini di queste notti convulse, definiti “saccheggiatori” dalle autorità e arrestati a centinaia. In totale sono finite in manette 632 persone tra i 15 e i 25 anni.

Una rivoluzione degli “affamati” dal Covid la definiscono invece sui social i protagonisti della protesta, che covava da mesi e che è esplosa dopo il massiccio spiegamento di polizia messo in campo per far rispettare il lockdown generale di quattro giorni e il coprifuoco anticipato alle 16, varato il 14 gennaio, nel giorno del decennale della rivoluzione del 2011.

La pandemia, anche a causa del crollo del turismo che impiegava un quarto della popolazione, ha aggravato la già precaria situazione economica e il governo di fatto non ha più mezzi per arginare le conseguenze della caduta del Pil, che segna ormai un -9%.

Dalla politica non arrivano risposte. Il premier Hichem Mechichi è alle prese con un rimpasto governativo di ben 12 ministri che non ha ancora ottenuto l’approvazione di un parlamento diviso. Rached Gannouchi, presidente dell’assemblea e capo del movimento islamico Ennahdha, si è limitato a scrivere su Facebook “Che Dio protegga la Tunisia”.

Il comitato direttivo di Ennhadha, da parte sua, ha condannato in una nota quelli che ha definito “attacchi ingiustificati/ingiustificabili che violano tutte le forme pacifiche di protesta”. Nessuna dichiarazione da parte del presidente Saied.

Parla invece l’ong Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes). Per il suo portavoce, Romdhane Ben Amor, la “rabbia è il risultato di una rottura con lo Stato, dovuta a un sentimento di esclusione”, per esempio quando il lockdown rende impossibile il lavoro nero e lo Stato non è in grado di dare sostegno economico.

A favore delle proteste si è schierata l’Unione Generale degli Studenti universitari della Tunisia (Uget), di sinistra, mentre il potente sindacato Ugtt ha condannato gli atti vandalici invitando a manifestare pacificamente come garantito dalla Costituzione.

(di Eloisa Gallinaro/ANSA)

Lascia un commento