Conte tratta e cambia il Recovery plan. Resta rischio crisi

Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, tiene a Villa Madama la conferenza stampa di fine anno
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, tiene a Villa Madama la conferenza stampa di fine anno. (Ufficio Stampa Palazzo Chigi)

ROMA. – Alcuni cambi sostanziali al Recovery Plan, il cui arrivo a Palazzo Chigi non a caso slitta di 24 ore, aprono ufficiosamente la trattativa nel governo per dar vita ad un Conte-ter o a un Conte-bis ampiamente “ristrutturato”. Trattativa che, per ora, resta imbrigliata nei veti incrociati e nelle tensioni non solo tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi, ma anche tra le stesse forze di maggioranza. E la strada resta in salita.

Se accordo sarà, il Conte-ter nascerà in maniera rapida, a cavallo tra l’Epifania e il 9 gennaio e con il via al Piano di Ripresa e Resilienza un Cdm tra il 7 e l’8 gennaio a cui seguirebbe subito il rimpasto. Ma il rischio di una crisi è tutt’altro che evitato.

Dopo giorni di silenzio a parlare sono i leader. Il primo a suonare il “gong” è, come da copione, Renzi. “Nei Palazzi romani si smetta di chiacchierare e si diano più soldi per la sanità con il Mes”, è l’attacco dell’ex premier che, non a caso, evoca il convitato di pietra della crisi: “Draghi è una persona straordinaria per questo Paese, e devo dire che ha dato suggerimenti molto giusti”.

Poco dopo è la capodelegazione Iv Teresa Bellanova a chiarire.”Il problema non è cambiare qualche ministro, ora Conte ha l’onere di presentare un programma che sia la sintesi della maggioranza”. Poi, in serata, è ancora Renzi a tornare in tv. E l’ex premier attacca praticamente tutta l’azione del governo, dal piano vaccini a quello anti-Covid (“un disastro”), dal cashback al Recovery.

E il leader di Iv si sfila anche da una sua partecipazione in prima persona al Conte-ter: “non farò il ministro”, taglia corto. parole che alimentano i dubbi di chi, nel governo e forse anche a Palazzo Chigi, non crede che, anche con un Conter-ter, la carica di Renzi si fermi. Tanto che il “rottamatore” aggiunge: prima i contenuti e poi vedremo chi sarà il premier.

Questa volta, però, gli alleati non restano muti. Nicola Zingaretti, dopo aver riunito la segreteria nazionale Pd, torna a chiedere “il rilancio” dell’azione di governo ma avverte che una crisi avrebbe “sviluppi imprevedibili” e dice “no” a posizioni “che destabilizzano, incomprensibili ai cittadini”. Di fatto il segretario Dem pretende uno scatto dal premier Conte ma manda anche un avvertimento a Renzi. Alludendo ancora una volta al rischio del ritorno alle urne.

Sulla stessa scia si pongono anche Vito Crimi e Alfonso Bonafede. “Una crisi in piena pandemia è incomprensibile”, avvertono i due “big” del M5S, ricordando la disponibilità del Movimento al dialogo, ma non su tutto. Sul Mes, spiega una fonte di primo piano pentastellata, i gruppi ad esempio non reggerebbero. E al momento, il sì ad una parte del fondo salva-Stati – possibile terreno d’intesa – appare ancora lontano nonostante il forte pressing degli alleati sul Movimento.

Tradizionalmente, quando la tensione si alza l’accordo viene subito dopo. Ma i giochi, in questo caso, restano apertissimi. Sul Recovery lo stralcio della Fondazione sulla Cybersecurity e le modifiche ai saldi nel testo (con maggiore spazio agli investimenti, con un occhio ai dossier cari ai Dem) in Iv viene considerato un inizio, non di più. E’ la cessione della delega ai Servizi che, forse, sbloccherebbe davvero l’impasse.

Una mossa su cui Conte sembra quasi essersi convinto dopo aver davvero accarezzato l’idea del ritorno alle urne. “Conte è una persona responsabile, e lo sta dimostrando”, spiega una fonte che ha dimestichezza con il premier. La casella Servizi rientrerebbe nel rimpasto per il Conte-ter, che vede nel Viminale il suo nodo.

Sul ministero la vigilanza del Colle resta alta. Al Quirinale, spiegano fonti parlamentari, potrebbero anche accettare un corposo rimpasto – con conseguente nuova fiducia delle Camere – ma più problematico sarebbe inserire un leader politico al posto di Luciana Lamorgese, figura tecnica di garanzia. E non è un dato di poco conto, visto che il titolare del Viminale sarebbe pronto, da servitore dello Stato, a farsi da parte, anche se probabilmente servirebbe una chiamata dal Quirinale e l’esplicitazione da parte delle forze politiche che non viene sostituita per inefficienza.

Il triangolo che vedrebbe Renzi alla Farnesina e Luigi Di Maio all’Interno sembra, così, morire sul nascere. Possibile, invece, che sia la Difesa ad andare a Iv, con conseguente spostamento di Lorenzo Guerini. Ma siamo solo agli inizi. “Se il tema è sui dossier e pure sulle poltrone, lo si faccia capire. Non si può andare da Renzi a chiedergli “ti va bene questo ministero?”, sottolinea una fonte di maggioranza tradendo una tensione che potrebbe stoppare qualsiasi intesa.

“Se non hanno più voglia noi siamo pronti”, è la mossa di Matteo Salvini. Che sul possibile premier non fa né nomi né cognomi. Neanche quello di Mario Draghi.

(di Michele Esposito/ANSA)

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