”Rischio suicidio”, negata l’estradizione di Assange

Sostenitori di Julian Assange esultano dopo la sentenza della Corte di Londra.
Sostenitori di Julian Assange esultano dopo la sentenza della Corte di Londra. (ANSA)

LONDRA.  – Julian Assange sfugge alle grinfie della vendetta Usa, almeno per ora, e gli attivisti dei diritti umani e della libertà di stampa possono forse tirare un sospiro di sollievo.

Verdetto a sorpresa, oggi, alla Corte londinese di Old Bailey, dove la giudice distrettuale Vanessa Baraister ha respinto – contro le attese – la richiesta d’estradizione oltre oceano del fondatore e animatore di WikiLeaks: inseguito da un decennio da Washington per aver contribuito a svelare dal 2010 montagne d’imbarazzanti file riservati sottratti agli archivi della superpotenza e detenuto da 21 mesi nel Regno nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh dopo essere stato scaricato dell’Ecuador al termine di 7 anni da rifugiato-recluso nell’ambasciata a Londra.

Il no è stato argomentato da un dispositivo allineato per nove decimi alle ragioni dell’accusa e chiuso a tutte le contestazioni della difesa. Salvo il punto chiave, tirato fuori dal cilindro alla fine: quello con cui Baraister ha decretato come irricevibile l’istanza americana per una questione di tutela della “salute mentale” della 49enne ex primula rossa australiana, bollando come insufficienti le garanzie carcerarie Usa ed evocando rischi concreti “di suicidio” nelle condizioni d’isolamento cui Assange sarebbe andato incontro.

Pericolo suggerito apertamente nelle udienze dei mesi scorsi da un perito psichiatrico il quale aveva saputo di un colloquio avuto in cella tempo fa da Julian – nella pesante reclusione di Belmarsh e in stato di salute precario – con un sacerdote a cui aveva domandato una sorta d’assoluzione preventiva.

La partita non è ancora chiusa visto che il Dipartimento di Giustizia americano si è riservato di presentare ricorso dinanzi all’Alta Corte, e fino alla Corte Suprema del Regno, entro il termine stabilito di 14 giorni. Washington del resto ha fatto sapere subito di voler andare avanti, esprimendo una stizzita “delusione” per lo scacco patito.

Ma nel frattempo gli avvocati di Assange stanno già lavorando a quel rilascio su cauzione che dovrebbe permettere al cofondatore di WikiLeaks – a cui il Messico è pronto fin d’ora a offrire “asilo politico” – se non altro di tornare libero presto in attesa di qualunque appello. O di passi indietro da parte della Casa Bianca rispetto a un’azione legale fondata sulla controversa accusa di violazione dello Espionage Act (contestata per la prima volta in un caso di pubblicazione di materiale ‘segreto’ sui media) e sulla presunta complicità in pirateria informatica con l’ex militare Chelsea Manning, per la diffusione di documenti del Pentagono relativi fra l’altro a crimini di guerra impuniti in Afghanistan o Iraq.

Accuse che la giudice s’è rifiutata di ritenere políticamente motivate, come denunciato dai legali della difesa. E che però sarebbero potute valere comunque ad Assange una condanna-monstre a 175 anni, con l’unica certezza di morire in galera.

L’epilogo dell’Old Bailey è stato accolto dall’esultanza di un drappello di sostenitori riuniti di fronte alla corte nonostante l’emergenza Covid al grido di “Il giornalismo non è un crimine” o “Libera la verità, libero Assange”. Mentre in aula mla compagna di Julian, l’avvocata sudafricana Stella Morris, che gli ha dato due figli negli anni trascorsi nell’ambasciata ecuadoriana, scoppiava in un pianto liberatorio abbracciando Kristinn Hrafnsson, attuale direttore di WikiLeaks.

Morris e Hrafnsson hanno poi salutato la sentenza come “un primo passo”, esprimendo riserve sulle aperture solo parziali della motivazione di Vanessa Baraister, insistendo sulla necessità di scarcerare ora immediatamente Assange e dichiarandosi “preoccupati” dell’intenzione “persecutoria” degli inquirenti americani di tentare ancora la carta dei ricorsi.

Sebbene mostrandosi prudentemente ottimisti al pari di sostenitori fra cui spiccano gli attivisti di Reporters Sans Frontières e di altre ong, esperti dell’Onu, figure pubbliche, celebrità, politici e giornalisti (britannici e non) di orientamento vario.

Apprezzamento per il verdetto odierno arriva intanto da Edward Snowden, ex gola profonda della Nsa rifugiato in Russia che portò alla luce le intercettazioni globali statunitensi. Ma manche da Aleksei Navalni, oppositore numero 1 di Vladimir Putin.

Mentre Amnesty International non usa mezzi termini per bocca del suo responsabile europeo, Nils Muižnieks. Bene il no all’estradizione, fa notare, per “i maltrattamenti che Assange avrebbe rischiato di subire nel sistema penitenziario Usa; tuttavia le accuse nei suoi confronti non avrebbero mai dovuto essere presentate, poiché politicamente motivate, e il Regno Unito non avrebbe mai dovuto esser complice degli Stati Uniti nell’istruire questo pericoloso precedente”: una caccia all’uomo trasformatasi in “processo contro la libertà d’informazione”.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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