L’Ue fissa i paletti allo strapotere delle Big Tech

Il logo di Amazon con l'indirizzo della pagina web.
Il logo di Amazon con l'indirizzo della pagina web. (Amazon)

BRUXELLES. –  L’idea è quella di portare ordine nel caos delle autostrade digitali. La pratica sarà lunga e non priva di ostacoli, ma l’Europa ha compiuto il primo passo. Con un nuovo elenco di obblighi, responsabilità e sanzioni che vanno a colpire soprattutto le Big Tech.

Per Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione Ue da anni impegnata contro le pratiche sleali delle grandi società d’oltreocano (le cosiddette Big Tech), le norme Ue sul digitale hanno la stessa importanza che ebbe il primo semaforo della storia, installato nell’Ohio, ormai oltre cento anni fa.

Perché l’avvento delle nuove tecnologie e di colossi che monopolizzano il mercato impone oggi di “riportare ordine ed equilibrio” tra il mondo fisico e quello traslato nell’etere. Dove le regole sono rimaste quelle del Duemila e i profitti di pochi si gonfiano sempre di più, anche a spese dei cittadini europei.

Così, insieme ai paletti normativi, l’Ue ha previsto anche un insieme di sanzioni. Prima di tutto, multe dal 6 al 10% del loro giro d’affari annuo globale. E poi anche misure strutturali che possono arrivare alla separazione delle attività in territorio europeo.

Non si tratta di prendere di mira i colossi americani, ha cercato di chiarire Thierry Breton, il commissario Ue per il Mercato interno co-firmatario della proposta, ma “con le dimensioni arrivano anche le responsabilità” per le aziende.

Che, scrive Bruxelles, quando sono talmente grandi come i GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft) da essere “gatekeeper” di un mercato, portano “rischi sistemici”. Dai contenuti che ogni giorno vengono pubblicati ai ricavi generati con l’e-commerce, passando per le pratiche sleali come le acquisizioni e l’accentramento dei dati.

Per questo la Commissione Ue ha diviso il pacchetto in due pilastri. Nel Digital Services Act (Dsa) è richiesto alle società di assumersi una maggiore responsabilità per la moderazione dei contenuti che circolano sui loro siti e a intervenire “rapidamente” per rimuovere il materiale illegale.

Altrimenti, potranno incorrere in multe fino al 6% delle loro entrate annue. Le regole si espandono anche a vendite e pubblicità online, per cui la parola d’ordine è ‘trasparenza’. Ad esempio, le società dovranno spiegare ad autorità e utenti come funzionano i loro algoritmi per l’indicizzazione dei prodotti.

Con il Digital Markets Act (Dma), inoltre, le Big Tech che violeranno  le regole di concorrenza saranno passibili di multe fino al 10% dei loro ricavi globali. E, se recidive, l’Ue si muoverà per separare strutturalmente le loro attività.

Il cambio di paradigma ha subito sollevato i timori dei colossi americani, con Google che si è detta “preoccupata”. Un’inquietudine che investe però anche la politica europea e internazionale. Proprio oggi in Irlanda – che ospita molte multinazionali del tech Usa – il Garante per la protezione dei dati ha inflitto a Twitter una sanzione di 564mila dollari. E, sull’altra sponde dell’Atlantico, la Federal Trade Commission (Ftc) ha chiesto a nove colossi tecnologici di fornire informazioni su come raccolgono e usano i dati degli utenti.

Affinché le norme proposte da Bruxelles si trasformino in realtà potrebbero servire circa due anni, ha detto Vestager. Ma l’iter, che richiede l’approvazione del Parlamento europeo e di tutti gli Stati membri, potrebbe anche essere più lungo. Da una parte perché alcune capitali potrebbero sollevare obiezioni.

Dall’altra, perché i giganti del web sono pronti a una strenua attività di lobbying per annacquare le proposte. Per i consumatori europei (Beuc), il Pe e il Consiglio dovranno “resistere alle enormi pressioni”.

Ma l’Europarlamento potrebbe anche chiedere una linea più dura. “Purtroppo, la proposta rimane troppo flessibile per quanto riguarda le sanzioni”, ha commentato Anna Cavazzini, presidente della commissione per il Mercato interno.

(di Irene Giuntella/ANSA)

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