Via quattro eurodeputati dal M5S, caos Mes. Preoccupazione Colle

Una persona sostiene un computer Apple Macbook Air durante una sessione di votazioni nel Parlamento europeo a Strasburgo, Francia.
Una persona sostiene un computer durante una sessione di votazioni nel Parlamento europeo a Strasburgo, Francia.(ANSA/PATRICK SEEGER)

ROMA. – Non c’è pace per il Mes. A meno di una settimana dal voto sulla riforma del fondo europeo salva Stati, la strada resta in salita. Con ostacoli e spaccature sia nella maggioranza che nell’opposizione e con sullo sfondo il rischio di una crisi che potrebbe addirittura portare al voto anticipato.

Il Colle non nasconde “preoccupazione” e in serata il premier Giuseppe Conte cerca di calmare le acque assicurando che “la versione finale del Mes ed eventualmente l’attivazione o meno passerà comunque dal Parlamento”. E mostra una certa sicurezza dicendosi convinto che “la maggioranza c’è e ci sarà”.

Ma che il tema sia incandescente è evidente. L’ultimo fronte si apre nel Movimento 5 stelle, storicamente contrario allo strumento. La tensione sale con l’addio di 4 europarlamentari 5S. Lasciano il Movimento: Piernicola Pedicini, Rosa D’Amato, Ignazio Corrao ed Eleonora Evi. Tutti protagonisti di un’azione disciplinare, per aver votato più volte in dissenso dal gruppo, compresa una risoluzione sul Mes.

“Lascio io, prima di essere cacciata per aver tenuto la barra dritta”, è lo sfogo di Eleonora Evi. Il nodo s’aggroviglia e chissà se l’assemblea dei parlamentari riuscirà a placare gli animi e mediare.

Non va meglio nel centrodestra, con Forza Italia sempre più in difficoltà dopo il ‘carpiato’ di Berlusconi, improvvisamente allineato a Lega e Fratelli d’Italia nel votare contro la riforma. Il D-Day è il 9 dicembre, quando Camera e Senato voteranno la riforma del fondo (serve la maggioranza semplice).

Sul tavolo ci sarà una risoluzione legata alle comunicazioni che il premier Conte farà alle Camere alla vigilia del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre. Obiettivo: trovare un compromesso per approvare la riforma. E passare la prova soprattutto al Senato, dove la maggioranza ha un margine stretto di voti.

Pd, M5s e Italia viva stanno quindi lavorando per limare un documento che accetti la riforma. Fiducioso il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri: “Anche questo passaggio delicato e difficile sarà superato”, dice. Per i Dem, però, i paletti insuperabili sono due: non accetteranno che si metta per iscritto il ‘mai all’accesso ai soldi del Mes sanitario’, né che la riforma entri in vigore successivamente.

Più difficile la mediazione nel M5s, anche se si distinguesse fra l’uso dei soldi europei e la riforma del fondo. Un escamotage potrebbe essere quella di specificare nella risoluzione che l’accesso ai 37 miliardi passi dal vaglio del Parlamento italiano, e non certo il 9 dicembre.

Cerca una via d’uscita pure il partito di Berlusconi. Alla virata del Cav di martedì, si aggiungono i malumori scatenati dall’intervista di Renato Brunetta al Foglio. Espressamente a favore del Mes, osserva che Fi è “l’unica componente del Ppe a prendere posizione insieme ai sovranisti, ai populisti e agli euroscettici”. Parole irritanti anche per Berlusconi. Tuttavia un pezzo del partito non manda giù la novità e azzarda l’idea di lasciare libertà di coscienza in aula.

Nel frattempo dal Quirinale è ovvio che il presidente Mattarella, per ora spettatore di una battaglia politica legittima, non possa che studiare gli effetti di un voto parlamentare che potrebbe essere dirompente sul governo e sulla legislatura.

Non è nei poteri del capo dello Stato aprire discrezionalmente una crisi ma, si osserva, bocciare una legge di taglio europeo, come la riforma del Mes, unici in Europa, avrebbe una portata politica analoga alla bocciatura di una Finanziaria. Si tratterebbe di un voto anti-europeo con il quale il governo perderebbe la sua ragione dì essere.

Di più, ed è evidente nelle analisi di queste ore, la “preoccupazione” di Mattarella si concentra sulla tenuta del Paese in questa fase drammatica e straordinaria, nonché sulla credibilità futura dell’Italia in Europa e rispetto ai mercati. Su queste considerazioni si basa l’interpretazione istituzionale che una crisi su un tema così rilevante porterebbe inevitabilmente a una crisi e probabilmente a elezioni anticipate.

Non è credibile infatti, ragionano qualificate fonti parlamentari, pensare che il Paese possa assistere a settimane di vuoto di potere alla ricerca di un nuovo esecutivo. Tentativo peraltro già profondamente esplorato dal presidente nel recente passato.

E se non fosse abbastanza non è inutile ricordare che se si andasse a elezioni anticipate, ci si andrebbe con il nuovo sistema che prevede un Parlamento con una drastica riduzione dei parlamentari. Tutte considerazioni che sono chiare non solo al Colle, ma anche ai partiti e alle forze parlamentari.

(di Michela Suglia e Fabrizio Finzi/ANSA)

Lascia un commento