Fake news corrono nella pandemia, più competenze digitali ai giornalisti

Un bambino col naso di Pinocchio e un giornale dove spicca la frase "Fake news"
Un bambino col naso di Pinocchio e un giornale dove spicca la frase "Fake news"

ROMA. – Le fake news rappresentano un pericolo per la tenuta democratica dei paesi e, in questa fase di pandemia, anche una grave minaccia per la salute. Il mondo dei media tradizionali ha costituito un argine importante alla cosiddetta ‘infodemia’, ma non sempre le armi a disposizione dei giornalisti si sono dimostrate sufficienti a garantire un corretto andamento del flusso informativo.

L’ultimo rapporto dell’Osservatorio sul giornalismo dell’Agcom dà un quadro accurato del fenomeno, puntando lo sguardo all’interno della fabbrica delle notizie. Grazie a un supplemento dell’indagine periodica, svolta la scorsa estate con un questionario diffuso tra i giornalisti attivi, l’Autorità ha potuto verificare l’ampia diffusione delle fake news soprattutto sui mezzi non tradizionali.

Circa i tre quarti (73%) della popolazione giornalistica si è imbattuta in casi di disinformazione durante l’emergenza sanitaria. Il 78% di questi ha riscontrato casi di disinformazione più di una volta a settimana e il 23% addirittura una volta al giorno. La fonte principale di disinformazione è certamente Facebook, citata da quasi tutti coloro che si sono imbattuti in episodi del genere (88%), mentre più della metà dei giornalisti li ha individuati nelle chat di Whatsapp (55%).

In generale, emerge come la quasi totalità (il 94,9%) dei giornalisti che si sono imbattuti in casi di disinformazione lo abbia fatto su fonti online non tradizionali (social network, motori di ricerca, sistemi di messaggistica, altre fonti online); più della metà (53,8%) lo ha fatto su fonti editoriali (mezzi di comunicazione e testate giornalistiche, anche online). Infine, solo una quota marginale (meno dello 0,5%) ha dichiarato di aver incontrato informazioni inesatte provenienti su siti istituzionali.

Non mancano gli aspetti critici sull’attività giornalistica, sia in merito all’azione di contrasto alle fake news che alla capacità dei cronisti di svolgere in pieno il loro ruolo di mediatori. Sotto il primo profilo, il 63,5% dei giornalisti dichiara di aver adottato pratiche per individuare e analizzare notizie false. Il 62% di questi ha usato strumenti digitali per verificare video o audio falsi, ma solo 1 su 5 ha prodotto articoli di fact-checking, solo 1 su 10 ha fatto live factchecking durante conferenze stampa o discorsi pubblici, e solo 1 su 20 è stato coinvolto in campagne volte ad aiutare i cittadini a identificare casi di disinformazione.

Un altro aspetto dolente riguarda il ruolo degli operatori dell’informazione, che in questa fase delicata non sono pienamente riusciti ad imporsi come certificatori delle notizie di qualità, lasciando alle istituzioni e agli esperti il compito di selezionare e decodificare correttamente le informazioni .

“Se i giornalisti non riusciranno a dotarsi di competenze digitali e specialistiche utili a poter esercitare un maggior controllo sull’intero circuito dell’informazione – avverte l’Autorità -, il ruolo di mediazione storicamente esercitato dai professionisti dell’informazione fin dalla nascita della sfera pubblica occidentale rischia di essere messo in discussione”.

(di Michele Cassano/ANSA)

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