Trump, la sindrome da bunker e la caccia agli infedeli

Trump con il capo del Pentagono Mark Esper durante una conferenza stampa alla Casa Bianca in Washington, DC, USA.
Trump con il capo del Pentagono Mark Esper durante una conferenza stampa alla Casa Bianca in Washington, DC, USA. EPA//KEVIN DIETSCH

WASHINGTON. – Niente Festa del Ringraziamento a Palm Beach nel lussuoso residence di Mar-a-Lago, come da tradizione nella famiglia Trump. Quest’anno il tacchino, ammesso che ci sia voglia di festeggiare, si mangerà alla Casa Bianca, da dove il presidente uscente non vuole saperne di allontanarsi. In preda, raccontano nel suo inner circle, a una vera e propria “sindrome da bunker”.

Da giorni non esce e non ha appuntamenti pubblici, fermamente deciso a resistere a chi lo invita a concedere la vittoria a Joe Biden. Alternando momenti di grande frustrazione a scatti d’ira e desiderio di vendetta.

L’ultima sfuriata ha portato al siluramento, ancora una volta via Twitter, del capo della cybersicurezza Cristopher Krebs, reo di aver parlato alcuni giorni fa delle “elezioni più sicure della storia americana”. Fumo negli occhi per Trump, impegnato con tutte le sue forze ad alimentare la narrativa dei brogli diffusi in tutto il Paese e del voto truccato e rubato dai democratici.

“Ho vinto io”, ha ribadito nelle ultime ore, rifiutandosi ancora una volta di ammettere la sconfitta e agitando con una raffica di tweet lo spettro dell’illegittimità del risultato emerso dalle urne: “Quello che è successo è un insulto alla Costituzione”, ha scritto, forse lasciando presagire la volontà di arrivare davanti alla Corte Suprema.

Anche se le speranze di spuntarla sembrano ridotte al lumicino, con tutte le cause avviate dai legali della Casa Bianca di fatto respinte nei vari Stati. Ma Trump non demorde. La sua campagna ha annunciato una nuova azione legale tesa a riconteggiare le schede in due contee del Wisconsin.

E dopo il siluramento di Krebs, preceduto da quello del capo del Pentagono Mark Esper, altre teste di funzionari considerati sleali e infedeli (se non dei traditori) potrebbero cadere. Diversi i nomi a rischio, compresi quello della direttrice della Cia, Gina Haspel, quello del capo dell’Fbi Cristopher Wray e quello del ministro della Giustizia William Barr.

Tutte rappresaglie che medita tra le mura dello Studio Ovale o tra quelle dei suoi appartamenti nella East Wing della Casa Bianca. Le uniche uscite oramai sono quelle per recarsi di tanto in tanto sul campo da golf, in cerca di un po’ di relax. Per il resto – racconta chi gli sta vicino – passa le giornate davanti alla tv, sui social, leggendo i giornali e meditando sul suo futuro.

E, in un clima sempre più cupo, ogni tanto chiama consiglieri e collaboratori a raccolta per pianificare tutto ciò che possa ostacolare la transizione e la futura presidenza Biden.

Il presidente eletto intanto attende con pazienza che la situazione si sblocchi e va avanti per la sua strada, nominando l’ex direttrice della comunicazione di Obama, Jen Psaki, alla guida del ‘confirmation team’, quello che in Senato dovrà combattere per far approvare le nomine nei posti chiave dell’amministrazione.

Tagliato ancora fuori da qualunque tipo di briefing ufficiale, Biden continua nel suo lavoro quotidiano di confronto con esperti della sicurezza nazionale e con quelli della sanità. L’ultima riunione virtuale, dal suo quartier generale di Wilmington, con gli operatori del settore sanitario impegnati in prima linea nella lotta alla pandemia.

In Congresso nel frattempo i democratici hanno nominato Nancy Pelosi per altri due anni nel ruolo di speaker. Sono quasi vent’anni che la politica di origini italiane, oggi 80enne, ricopre la terza carica dello Stato. Superate le resistenze interne al partito, grazie anche all’effetto della vittoria di Biden, Pelosi deve ora aspettare il voto dell’intera aula della Camera per essere riconfermata, nel mese di gennaio.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)