Il Perù s’infiamma, il neo presidente Merino lascia

Manifestazione di protesta dopo l'elezione di Manuel Merino come presidente in plaza San Martín a Lima (Perú).
Manifestazione di protesta dopo l'elezione di Manuel Merino come presidente in plaza San Martín a Lima (Perú). EFE/Paolo Aguilar

BUENOS AIRES. – Meno di una settimana dopo la destituzione da parte del Parlamento del presidente Martin Vizcarra per l’accusa di corruzione, il Perù ha vissuto un’altra giornata di fuoco, cominciata la notte scorsa con la morte di due giovani in scontri di piazza a Lima, e terminata più tardi con le “dimissioni irrevocabili” del neo eletto successore, Manuel Merino.

Rivolgendosi alla Nazione nel momento di abbandonare la presidenza, Merino ha sottolineato che “tutto il Perù è in lutto, nulla giustifica che una legittima difesa debba provocare la morte dei peruviani. Quanto accaduto deve essere investigato profondamente dalle istanze competenti per determinare ogni responsabilità”.

Il modo con cui il Congresso aveva messo alla porta Vizcarra utilizzando in modo discutibile un articolo della Costituzione, aveva avviato subito una fase di grave instabilità istituzionale, pericolosa per la tenuta democratica del Paese.

Merino, che già aveva guidato un primo tentativo un paio di mesi fa di destituire il capo dello Stato, aveva potuto assumere alla fine la presidenza con l’appoggio di otto dei nove partiti del Parlamento. Gli stessi che però oggi hanno fatto dietro front, e lo hanno abbandonato costringendolo a gettare la spugna.

Nei giorni scorsi, inoltre l’estromissione di Vizcarra aveva prodotto un’ondata di indignazione popolare con marce e manifestazioni per vari giorni a Lima e in molte altre città peruviane. Ieri, gli incidenti sono stati molto gravi nella capitale, con la morte di due studenti universitari di 22 e 25 anni ed il ferimento di 80 persone.

L’uso sfrenato della forza da parte della polizia ha prodotto critiche negli ambienti politici e sociali, ed anche lo scrittore Mario Vargas Llosa, a suo tempo candidato presidenziale, aveva ribadito che “Merino se ne deve andare”.

Per molte ore rimasto in silenzio il capo dello Stato ha cercato di riportare la stabilità e la calma, ma gli è stato impossibile tanto che uno ad uno 13 ministri, fra cui quelli dell’Interno e della Difesa, si sono dimessi. Fonti giornalistiche avevano anche ipotizzato una sua fuga all’estero ma non è stato così.

Come ultimo gesto Merino ha cercato in extremis di organizzare una riunione nel ministero dell’Interno con i massimi responsabili di polizia e Forze armate, che però non si sono presentati. Quando gli è giunta poi anche l’esortazione formale del Parlamento a dimettersi, ha capito che non c’era più nulla da fare se non diffondere il messaggio di dimissioni.

(di Maurizio Salvi/ANSA)