La Palestina piange Erekat, il negoziatore di Oslo

Il negoziatore palestinese Saeb Erekat.
Il negoziatore palestinese Saeb Erekat. EPA/ALAA BADARNEH / POOL POOL

TEL AVIV.  – Il negoziatore palestinese per eccellenza, rimasto oramai senza più trattative. La parabola di Saeb Erekat – morto a 65 anni in un ospedale israeliano a Gerusalemme per complicazioni dovute al Covid – ha seguito la stessa traiettoria, negativa, dei rapporti tra Israele e Autorità nazionale palestinese (Anp), ad oggi totalmente inesistenti.

Eppure il suo affermarsi sulla scena è  legato all’apporto dato al raggiungimento nel 1993 degli Accordi di Oslo, punto più alto di un possibile sbocco verso la pace. Non a caso a ricordarlo sono stati non solo i palestinesi, ma anche una parte degli israeliani.

Abu Mazen – di cui Erekat è stato per anni consigliere, come prima di Arafat – ha definito “la  morte del fratello e amico” una “perdita enorme per la Palestina e il nostro popolo”. “Provo – ha aggiunto il presidente – un profondo dolore, specialmente alla luce delle difficili circostanze che deve affrontare la causa palestinese”.

Per lui ha indetto 3 giorni di lutto nazionale in tutti i Territori. La controparte israeliana di Erekat ad Oslo, Yossi Beilin, lo ha definito “un negoziatore duro”. “Ma – ha sottolineato – c’è una grande differenza tra chi non vuole fare un accordo ed è ostinato su tutti i temi e chi, invece, vuole cercare un’intesa e pressa a favore delle sue posizioni”.

Anche l’ex ministra degli Esteri Tzipi Livni ha twittato di “essere rattristata dalla morte di Erekat, che ha dedicato la vita al suo popolo. Mancherà”.

Nato ad Abu Dis, nei pressi di Gerusalemme, nel 1955, Erekat – fino alla sua scomparsa segretario generale dell’Olp – è stato uno dei dirigenti palestinesi più conosciuti. La sua notorietà risale al 1991, con la partecipazione alla conferenza di pace di Madrid.

L’immagine del giovane professore – ex studente all’Università di San Francisco, dotato di un ottimo inglese – con indosso una vistosa kefya a breve distanza dal premier israeliano Yitzhak Shamir fece il giro del mondo.

Erekat – un nazionalista pragmatico insieme a Faisal Hussein, Hanan Ashrawi (che oggi lo ha commemorato) e Seri Nusseibeh – a lungo ha ritenuto più produttiva per i palestinesi una soluzione concordata del conflitto basata sulla formula dei due Stati. Con il ritorno di Arafat da Tunisi e la costituzione, dopo Oslo, dell’Anp, Erekat iniziò a rivestire incarichi di prestigio.

L’assassinio di Rabin (1995) e la successiva stagione política modificò però la situazione sul campo. Ma Erekat continuò a guidare delegazioni palestinesi a Wye River e a Camp David (2000).

In politica interna, da laico, si oppose con forza ad Hamas (che oggi invece l’ha omaggiato). All’inizio dell’Intifada sostenne – a differenza di altri dirigenti di Fatah, fra cui Marwan Barghuti – che il ricorso alla violenza sarebbe stato un errore per i palestinesi.

Negli ultimi tempi la sua posizione – a fronte della politica di Trump in Medio Oriente e dell’annuncio di Netanyahu sull’estensione della sovranità israeliana a parti della Cisgiordania – si era invece irrigidita, fino ad invocare la rottura completa delle relazioni con Israele. Per questo aveva bollato la decisione degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein di avviare relazioni con lo Stato ebraico come “un tradimento della causa palestinese”.

Sottoposto ad un trapianto di polmoni tre anni fa negli Usa, Erekat aveva contratto il Covid tempo fa ed in un primo momento si era curato nella sua casa di Gerico, sorvegliato dalla figlia medico. Aggravatosi rapidamente, con il permesso delle autorità israeliane era stato ricoverato in ospedale a Gerusalemme, dove oggi è morto.

(di Massimo Lomonaco/ANSA)