Libri, Pannitteri: “Racconto il femminicidio ai giovani”

Copertina del libro "La forza delle donne" di Adriana Pannitteri.
Copertina del libro "La forza delle donne" di Adriana Pannitteri.

ROMA. – Adriana Pannitteri, “La forza delle donne” (Giulio Perrone Editore, pp.88, 15 Euro). C’è molto equilibrio nell’affrontare un tema complesso come il femminicidio, raccontando il dolore lacerante di chi resta e lotta per chiedere giustizia ma al contempo cercando di comprendere la frattura psichica da cui scaturiscono determinati delitti, nel nuovo romanzo di Adriana Pannitteri, dal titolo “La forza delle donne” (Giulio Perrone Editore), in libreria dal 12 novembre.

Il libro, che esce in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre, è liberamente ispirato alla vicenda di Giordana Di Stefano, la ventenne uccisa nel 2015 a Nicolosi, in Sicilia, dall’ex fidanzato, con il quale aveva avuto una bambina 4 anni prima.

“Ho unito il mio essere cronista alla fantasia, scegliendo di adottare lo sguardo di una adolescente perché il mio obiettivo è avvicinarmi ai giovani: loro hanno bisogno di fare domande e ricevere risposte”, dice all’ANSA l’autrice, giornalista del Tg1, che l’11 novembre presenterà il libro al Senato (in diretta sul canale web Senato Tv alle ore 12) insieme alle senatrici Valeria Valente (Presidente Commissione Inchiesta Femminicidio) e Valeria Fedeli (Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai) e a Valerio De Gioia, magistrato del Tribunale di Roma.

“Tra le nuove generazioni – dice – credo non ci sia ancora sufficiente consapevolezza: i ragazzi mostrano una grande fragilità nel percepire cosa è l’amore. A volte sembra che il possesso sia l’unico modo per sentirsi amati. Tanti di loro sono impauriti e hanno storie familiari difficili”.

Al centro del romanzo, ambientato in Sicilia, c’è l’amicizia tra Maria Grazia, che sogna di fare la giornalista, e Veronica, una donna che lotta per ottenere giustizia per sua figlia Giulietta, tragicamente uccisa dall’ex compagno, mentre cresce la nipotina che lei la ha lasciato.

Una storia di sofferenza ma anche di rinascita, vissuta nel solco di una condivisione profonda tra una adolescente e una donna più matura: se nelle pagine del libro il dolore è quasi palpabile, nel sottolineare l’assurdità della morte di una giovane donna per mano di chi diceva di amarla, di certo l’autrice – che per il Tg1 ha seguito come inviata i casi più scottanti di cronaca – riesce a mantenere un approccio sempre equilibrato.

Il racconto del dramma lascia comunque aperta la porta della speranza, nella convinzione che niente possa uccidere i sogni e che forse le donne, insieme, possano dare un importante contributo per estirpare dalla società un fenomeno gravissimo e purtroppo dilagante come il femminicidio.

“Non faccio sconti, dico le cose come stanno, ma ho tentato di capire perché accadano certi crimini, con la libertà di aprire spunti di riflessione”, afferma, “Nel mio ambiente l’alleanza tra donne spesso è rara, ma io ci credo perché è fondamentale per costruire percorsi nuovi. E soprattutto perché, quando questa alleanza c’è, è molto forte ed è capace di passare attraverso le generazioni permettendo uno scambio emozionale importante”.

“Questo è un libro piccolo ma c’è tutto il mio percorso. I tanti incontri che ho fatto nelle scuole per il precedente libro (Cronaca di un delitto annunciato, L’Asino d’oro edizioni, ndr) mi hanno aiutato a entrare nel mondo adolescenziale. E poi qui c’è anche l’esperienza fatta con l’associazione Netforpp che si occupa di malattia mentale e di dinamiche di delitti in famiglia”, prosegue.

Qual è il maggiore problema che si incontra nel combattere il femminicidio?

“La rete a protezione della donna è ancora insufficiente e il nodo del possesso fino all’ultimo resta centrale”, spiega l’autrice, “di certo serve la prevenzione e un importante lavoro culturale che deve coinvolgere i maschi, perché il problema centrale è il rapporto uomo donna”.

“Per fortuna abbiamo una legge ottima e ora è stato anche approvato il codice rosso – aggiunge – ma c’è un momento in cui la donna continua a essere scoperta, ossia tra la denuncia e il rientro a casa o tra la denuncia e l’udienza. Molto spesso è in quel frangente che avvengono i crimini, anche perché ci sono dei meccanismi di garantismo che non permettono alle forze dell’ordine di intervenire”.

Quanta responsabilità hanno i giornalisti nel raccontare i casi di femminicidio?

“Nel nostro lavoro di giornalisti il linguaggio è importantissimo, soprattutto nei casi di cronaca dove spesso vengono usate parole completamente sbagliate. Serve uno studio specifico per usare un linguaggio che non sminuisca la complessità, che lasci comprendere il percorso interiore che ha portato a un determinato delitto. Spesso si utilizzano termini come orco, belva, oppure raptus, parola che ho cercato di far togliere dai titoli del tg con una mia personale battaglia: questo è un linguaggio che non va usato”.

(di Marzia Apice/ANSA)