America Latina, Venezuela e Spagna, tra Covid-19 e recessione

America Latina. Venezuela, España recesión y Covid

America Latina Covid y recesión Una recessione di tali proporzioni in America Latina non si era mai vista. O, almeno, non se ne ha memoria da oltre un secolo. Il tracollo delle economie latinoamericane è tale da superare quasi quello delle economie della “zona euro”. E non deve sorprendere, in considerazione della loro dipendenza dal mondo industrializzato.

Fonti solitamente conservatrici e prudenti nelle loro proiezioni – leggasi Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale e Commissione Economica per l’America Latina – registrano una contrazione dell’8,1 per cento. Cifra che, per quanto inferiore al 9,4 per cento proiettato a giugno, è ugualmente preoccupante.  Dunque, un dato inquietante che illustra quanto profondo sia stato l’impatto della pandemia in America Latina.

Le cifre provvisorie dell’Fmi non concedono spazio a dubbi. La contrazione del Prodotto Interno Lordo a fine anno in Perù sarebbe del 13,9 per cento; in Argentina, dell’11,8 per cento; in Ecuador, dell’11 per cento, solo per nominare i paesi più colpiti dalla recessione. Ha sorpreso, invece, il Brasile. L’Fmi proiettava a giugno una contrazione del 9,1 per cento per poi correggerla al 5,8 per cento. Da tener conto che il governo di Bolsonaro, in piena pandemia, ha preferito privilegiare l’economia sulla sicurezza della popolazione, con un saldo di vite umane assai elevato.

Il 2021, per la stragrande maggioranza delle economie, quindi anche per quelle dell’America Latina,  sarà l’anno del rimbalzo economico.  Ma, a differenza dei pronostici iniziali, la curva assomiglierà più ad una “U” che ad una “V”.  Fmi, Bm e Cepal stimano la crescita del Pil tra il 3 e il 4 per cento. Molto dipenderà dalla ripresa delle economie industrializzate. I paesi latinoamericani, questo non è un segreto, dipendono dalla domanda delle materie prime. Quindi, nella misura in cui le nazioni industrializzate riusciranno a controllare la pandemia e quindi ad assicurare il pieno ritmo della produzione, nella stessa misura crescerà la domanda di materie prime in America Latina.

Si prevedeva che il mondo fosse capace di tornare ai livelli pre-Covid alla fine dell’anno. La violenza della “seconda ondata” della pandemia pare che non lo permetterà. La ripresa, infatti, dipenderà dalle politiche di contenzione del virus, dalla scoperta di una cura o di un vaccino sicuri e dalla velocità con cui medicine e vaccini saranno prodotti e distribuiti. Insomma, dalla rapidità con cui sarà immunizzata la popolazione. Tutte variabili difficili da controllare.

L’atipico caso venezuelano

Un capitolo a parte merita il caso del Venezuela. Questo è il settimo anno consecutivo in recessione; una successione di numeri negativi, tra il 15 e il 20 per cento, senza precedenti nella sua storia né in quella dell’America Latina. Se ciò non fosse sufficiente, da tre anni soffre i rigori di una iperinflazione senza controllo che ha colpito profondamente il potere d’acquisto del venezuelano portando la povertà a livelli mai conosciuti. D’accordo al “Proyecto Encovi”, condotto dalle “Universidad Católica Andrés Bello”, “Universidad Central de Venezuela” e “Universidad Simón Bolívar”, la povertà bussa alla porta del 96 per cento delle famiglie venezuelane. La povertà estrema colpisce già il 79 per cento dei venezuelani. Sono cifre che collocano povertà e disuguaglianza a livelli inammissibili per un paese che, prima del ventennio “chavista”, era incamminato, non senza grosse difficoltà e tanti alti e bassi, verso il progresso sociale.

La breccia tra ricchi e poveri è cresciuta. I primi sono sempre meno; gli altri, sempre più. Oggi tanta povertà, tanta disuguaglianza in una nazione che per anni ha goduto di un reddito mai visto, grazie al greggio quotato oltre i 100 dollari il barile, è intollerabile. Lo sono anche la carenza di generi alimentari, di medicine e di servizi pubblici efficienti che obbligano i venezuelani ad un ritorno alle cucine a legna e a fare file di ore per un secchio d’acqua o un pieno di benzina. A questo, poi, bisogna sommare l’abbandono degli ospedali, la corruzione ad ogni livello, il dilagare della delinquenza, il degrado nelle carceri e la repressione trasformata in “politica di Stato”.

Per la fine dell’anno si attende una contrazione del 20 per cento dell’economia. Cifre meno conservatrici la stimano attorno al 30 o 35 per cento. L’iperinflazione non frena, nonostante i provvedimenti del governo nell’ambito finanziario. La moneta nazionale è “carta straccia” mentre il dollaro, l’euro, il peso colombiano o il real brasiliano hanno preso definitivamente il sopravvento.

L’industria boccheggia e la disoccupazione cresce senza sosta. Gli enti pubblici da anni non danno cifre. Stando a Conindustria i complessi fabbrili solo occupano il 16 per cento della loro capacità produttiva. Sempre secondo l’organismo imprenditoriale, quest’anno potrebbe chiudere il 43 per cento dell’industria nazionale. Il paese, negli anni d’oro del boom industriale, era arrivato a vantare 13mila industrie che occupavano il 60, 65 per cento della mano d’opera. Il resto era assorbito dall’economia “informal” che non deve confondersi con quella “sommersa” dei paesi avanzati. Oggi si calcola che le industrie sopravvissute alla crisi siano appena due mila. Le conseguenze sull’occupazione sono facilmente immaginabili.

A tutto ciò, poi, bisogna sommare il clima d’insicurezza creato dalla realtà politica. Il “chavismo” ha trasformato quella che era un’isola di libertà e di democrazia in una autocrazia basata sulla repressione. Il governo del presidente Maduro, ormai isolato dalle nazioni democratiche, ha consolidato un regime repressivo e poliziesco senza il quale difficilmente riuscirebbe a sopravvivere. Reprime le proteste, imprigiona i dissidenti, arresta i deputati e leader dei partiti d’opposizione e obbliga ad emigrare chi ambisce ad un futuro migliore.

 

Covid-19 e crisi europea

La crisi economica, provocata dalla pandemia, non colpisce solo l’America Latina. Anche il mondo industrializzato, l’Europa in primis, ne è vittima. La diffusione della Covid-19 ha obbligato datori di lavoro e impiegati a reinventarsi. Si stima che l’economia dell’eurozona soffrirà quest’anno una contrazione di quasi l’8 per cento. Si attende una ripresa del 4,2 per cento nel 2021 e del 3 per cento nel 2022. Sono proiezioni soggette all’evoluzione della pandemia.

I paesi europei che maggiormente risentono delle conseguenze della pandemia sono quelli del versante mediterraneo. In particolare, Francia, Italia e Spagna. In effetti, il loro Pil pare destinato a contrarsi rispettivamente del 9,6 per cento, del 9,9 per cento e del 12,4 per cento. L’atteso “rimbalzo” probabilmente non avrà più la forma di una “V” ma quella di una “U”. Quindi, è plausibile che il prossimo biennio non sia sufficiente per tornare ai livelli pre-Covid.

Nel caso della Spagna, che come dimostrano le statistiche dell’Ine è la meta preferita di tanti giovani italiani che in Patria non trovano una collocazione nel mondo del lavoro, si prevede una crescita pari al 5,4 per cento nel 2021 e del 4,8 per cento nel 2022. Una crescita globale, nel prossimo biennio, pari al 10,2 per cento. Insufficiente a compensare la contrazione provocata dalla diffusione del virus. Gli effetti sull’occupazione sono facilmente immaginabili. Si stima che la disoccupazione alla fine dell’anno sarà del 18,1 per cento.

L’economia spagnola dipende in grado assai elevato dal turismo. Questo rappresenta il 14 per cento del Pil. È una dipendenza che s’incrementa se si somma l’indotto, stimato attorno al 5 per cento. Il settore della ristorazione, intensivo in mano d’opera, è tra i più colpiti dai provvedimenti presi per frenare i contagi.

Il governo Sánchez, per mitigare gli effetti del lookdown, ha approvato un “Expediente de Regulación Temporal del Empleo” (Erte) che interessa circa 3,4 milioni di lavoratori ed altri provvedimenti orientati ad aiutare le piccole attività commerciali e industriali. Inoltre, ha approvato recentemente un “Ingreso Mínimo Vital” che favorirà 850mila famiglie.

Il programma economico del governo Sánchez  prevede lo stanziamento di circa 200 miliardi di euro tra fondi pubblici e privati. Si vuole evitare la distruzione del tessuto produttivo del Paese e assicurare protezione alle fasce meno abbienti della popolazione. Quello di Sánchez è un programma economico espansivo, d’ispirazione keynesiana. Ed orientato alla creazione di oltre 800mila posti di lavoro nei prossimi tre anni

Il governo considera la meta ragionevole, grazie ai fondi europei. In effetti, ritiene possibile orientare i 140 miliardi di euro che riceverà dall’Unione Europea tra il 2021 e il 2026 non solo a rafforzare la propria economia ma soprattutto a provocarne la metamorfosi. La sfida sarà traghettare il paese verso “un’economia più resiliente, digitale e inclusiva”. Oltre il 30 per cento dei fondi che riceverà dall’Europa saranno destinati all’economia verde. Ovvero, a quelle misure specifiche orientate a “ridurre la dipendenza dai combustibili fossili” sostenendo le fonti rinnovabili e la mobilità elettrica. L’obiettivo sarà l’efficienza energetica che permetta il ripristino del capitale naturale. Un ruolo importante, in questo senso, lo avranno l’innovazione, la digitalizzazione dell’economia, i servizi cloud, i big data e le tecnologie 5G, senza dimenticare la salute pubblica.

Telone di fondo, l’America Latina. Quelli che uniscono Spagna e America Meridionale sono legami di carattere storico, culturale e sociale con profondi risvolti nell’ambito economico. Gli interessi spagnoli in America Latina, a causa della pandemia, sono da mesi sotto “stress”. In particolare, preoccupa la crescita del debito, nell’ambito economico, e l’espansione del populismo in quello politico. Per il primo, suggerisce la moratoria e l’apertura di nuove linee di credito; per l’altro, un’azione diplomatica più stringente.

Nel caso del Venezuela, il governo Sánchez ha designato un incaricato d’affari in sostituzione dell’Ambasciatore Jesús Silva Fernández. È un segnale forte. Ma non una chiusura inequivoca ad ogni rapporto col governo Maduro.  Lascia uno spiraglio aperto al dialogo e ad una soluzione consensuale. L’obiettivo resta la transizione pacifica verso un governo legittimo e democratico; una transizione che dovrà concludersi necessariamente con l’uscita di scena di Maduro e i suoi diretti collaboratori, il castigo per chi si è macchiato di crimini di lesa umanità e, finalmente, lo svolgimento di elezioni trasparenti, legittime e libere.

Mauro Bafile