Londra richiude, e c’è chi non riaprirà

Un pub di Londra chiuso, con le sedie incatenate fuori dal locale.
Un pub di Londra chiuso. (ANSA)

LONDRA.  – É suonata nuovamente l’ultima campanella per i pub inglesi, come – metaforicamente – per i ristoranti, per una quantità di negozi “non essenziali”, per strutture sportive, luoghi di ritrovo, d’intrattenimento, di culto: al pari di quanto accaduto a marzo.

Dalla mezzanotte il governo di Boris Johnson ne ha imposto infatti la chiusura forzata per le prossime quattro settimane, una restrizione che minaccia di aggravare – in maniera persino irreparabile – la crisi già in atto in molti settori: in primis quello delle public house, pilastro tradizionale della vita oltre che dell’economia dell’isola (dove pinta dopo pinta si scandisce da secoli l’identità britannica) e terminale di una filiera che partendo dai duemila birrifici presenti nel Paese generava ogni anno ricavi per oltre 8 miliardi di euro.

“Le forniture ai pub rappresentano il 90% del fatturato. Stiamo cercando di diversificare le vendite, rafforzando la nostra presenza online, ma non è qualcosa che si può fare dall’oggi al domani. E nel frattempo ci sono enormi costi fissi da coprire”, spiega Todd Matteson, a capo di Mondo Brewing Company.

Secondo uno studio governativo, il 30% dei contagi tra agosto e settembre è avvenuto proprio nei locali pubblici (pub, bar e ristoranti), che da ottobre erano già chiusi in ampie regioni della Scozia come in diverse aree del nord dell’Inghilterra.

“Tra 12 mesi rischiamo di aver perso fino a 12mila pub, e circa 300mila posti di lavoro – la previsione di Emma McClarkin, direttrice di British Beer and Pub Association -. Alcuni pub hanno già chiuso per sempre, un vuoto grave anche a livello sociale perché i pub sono più che esercizi commerciali, contribuiscono al tessuto delle nostre comunità”.

Una crisi che la pandemia ha in realtà solo peggiorato se è vero che, dal 2000 ad oggi,  ha chiuso i battenti una media di 13 pub alla settimana, con un calo complessivo da 60mila agli attuali 47.600 esercizi. Simon Cherry, proprietario del pub The Carpenter’s Arms, a Londra, ha speso più di 3mila euro in estate per adeguare il suo locale alle nuove norme sanitarie.

“Il governo continua a fare grande confusione. Propone una strategia, e poi la cambia. Bisogna trovare una soluzione per sospendere gli affitti di questi mesi di inattività: sono i costi più alti che abbiamo e che ormai non sappiamo più come sostenere”.

La speranza diffusa è che l’attuale chiusura – frutto di un lockdown nazionale bis che il governo Tory si è deciso infine obtorto collo a reintrodurre nell’interra Inghilterra, per un un totale di oltre 55 milioni di persone – non venga prorogata al di là della scadenza “automatica” del 2 dicembre: come Johnson ripete ad ogni piè sospinto, pur senza poterlo promettere in assoluto.

“Forse possiamo sopravvivere questo mese, ma se ci costringono a tenere chiuso anche a Natale per noi è la fine”, prevede Mark Spencer, manager del White Horses, che racconta come mercoledì sera, vigilia dell’entrata in vigore del nuovo confinamento e della rinnovata minaccia di mega multe e interventi di polizia contro i trasgressori, davanti al locale ci fosse una coda d’altri tempi. A testimonianza di una voglia di socializzazione, annaffiata dalla sete di alcol, che la pandemia non ha spento, tra i più giovani e non solo.

Un’ansia che del resto non si limita ai bevitori del Regno: condivisa com’è stata, nelle ultime ore da chi, in migliaia, ha approfittato dell’ultimo giorno di apertura dei negozi non vitali per cercare di anticipare parte degli acquisti natalizi.

Oxford Circus, centro nevralgico dello shopping della Capitale, ne è stato un esempio, preso d’assalto pure per via degli sconti promozionali che hanno giustificato la corsa dell’ultimo minuto al regalo.

Una boccata d’ossigeno, sotto forma di sterline, per quei commercianti costretti adesso – per 4 settimane almeno – a tenere abbassata la saracinesca.

Nella speranza che la curva dei contagi nel frattempo scenda e il virus torni a dare tregua prima di far allungare ancora troppo la sua lista di vittime: dirette o indirette.

(di Lorenzo Amuso/ANSA)