Bufera antisemitismo sul Labour, Corbyn sospeso

Theresa May e Jeremy Corbyn.
Theresa May e Jeremy Corbyn. (ANSA/AP Photo/Kirsty Wigglesworth, pool)

 

LONDRA. – “Giornata di vergogna” per il Labour britannico, riconosciuto colpevole da un’autorità indipendente del Regno, l’Equality and Human Rights Commission, di non aver saputo fronteggiare una serie di “inescusabili atti illeciti di discriminazione e  vessazione” d’impronta antisemita denunciati fra i sui ranghi negli anni della leadership di Jeremy Corbyn: 71enne esponente della sinistra pacifista e storico sostenitore della causa palestinese.

Un verdetto che Corbyn ha in parte rigettato, inducendo il suo successore Keir Starmer a sospenderlo clamorosamente dal partito ad appena sei mesi dal passaggio di consegne, anche a costo di riaccendere il lacerante conflitto fra correnti in seno alla maggiore forza politica d’opposizione parlamentare al governo conservatore di Boris Johnson.

Il rapporto della commissione, chiamata in causa dai ricorsi di funzionari e militanti ebrei laburisti, nonché da alcune delle principali organizzazioni della comunità ebraica britannica, è stato illustrato dopo mesi d’indagine dalla presidente ad interim dell’organismo, Caroline Waters, e non usa mezzi termini, “Nel Partito Laburista – vi si afferma – c’è stata una cultura che nella migliore delle ipotesi  non ha fatto abbastanza per prevenire l’antisemitismo e nella peggiore è parsa accettarlo”.

Il testo evoca “un fallimento significativo di leadership” negli anni corbyniani a dispetto delle promesse del “compagno Jeremy” di garantire “tolleranza zero”: fra ostilità preconcette, “interferenze” sulle procedure disciplinari e sospetti tentativi d’insabbiamento di specifici fascicoli.

Una condanna vera e propria a cui Corbyn  – reagendo a caldo su Facebook – s’è inchinato solo a metà. Riconoscendo che l’antisemtismo è stato ed è una macchia nel Labour, come nella società britannica, ma aggiungendo subito di non essere d’accordo con “tutte le conclusioni” dell’inchiesta.

E, anzi, denunciando a sua volta la presunta “drammatizzazione” strumentale della polemica da parte di “avversari interni ed esterni al partito” e “dei media” di establishment; nonché l’asserito sabotaggio deliberato dei suoi tentativi di affrontare la questione imputato fino al 2018 (ossia nell’arco di tempo preso di mira dalla commissione) a settori dell’apparato del Labour legati a ciò che restava della vecchia guardia della destra blairiana.

Recriminazioni inopportune, se non infondate, secondo sir Keir Starmer, già ministro ombra della Brexit nel gabinetto Corbyn, ma alfiere adesso di un approccio politico più moderato e deciso nei panni di neo leader a combattere come una priorità assoluta ogni traccia di antisemitismo per “recuperare la fiducia” del mondo ebraico.

Di qui la decisione di “sospendere Jeremy” e avviare un’indagine interna su di lui: non tanto per i contenuti del rapporto che inizialmente lo stesso sir Keir aveva evitato di personalizzare contro la singola figura del predecessore, pur scusandosi ed evocando “una giornata di vergogna” per il partito; quanto per non averne accettato in silenzio i richiami, mostrando così di voler essere “parte del problema”.

Ora occorrerà attendere le contromosse della sinistra interna, tuttora forte in una base militante che Jeremy Corbyn – nonostante la disfatta elettorale subita da Johnson nel dicembre scorso e costatagli alla fine la poltrona – è riuscito in questi anni a riportare a dimensioni da maggior partito d’Europa per numero assoluto d’iscritti.

Una base che gli ha garantito due designazioni plebiscitarie nel 2015 e nel 2017 e fra le cui linee gode tuttora, dopo oltre mezzo secolo di militanza e 37 anni da deputato inamovibile del collegio londinese di Islington, di tassi di popolarità rilevanti. Lui avverte intanto di voler dare battaglia “con forza” contro “l’ingiusto provvedimento politico” di sospensione comminatogli.

Mentre a cogliere la palla al balzo sono i Tory di Johnson, dopo i segnali di rimonta del Labour indicati da alcuni sondaggi recenti sullo sfondo delle critiche alla gestione della pandemia da parte dell’esecutivo, che parlano di antisemitismo strutturale e sfidano l’attuale leader addirittura a “espellere” l’ex numero uno dopo aver collaborato con lui per un quinquenio di fila.

Ben consapevoli che una spaccatura intestina definitiva ridurrebbe a illusione per chissà quanto qualsiasi speranza laburista di poter risalire la china.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)