Covid e quarantena, al buio e senz’acqua

Covid, quarantena al buio.
Covid, quarantena al buio.

ROMA. – La quarantena dei fantasmi. Al buio, in un seminterrato senz’acqua, né luce e senza riscaldamenti. Accade a Roma, in via Araldi, quartiere Boccea. Il bambino ha avuto la tosse, tampone immediato: è covid. Va isolato, ma la casa è un tugurio di 2 stanze. Nessun isolamento è possibile dalla mamma Valentina, 37enne incinta al quarto mese e dal fratello 16enne, e nemmeno da Miter il compagno di lei.

Da un anno la proprietaria del seminterrato ha deciso di mandarli via, non hanno un contratto: “Ci ha staccato le utenze. Noi vorremmo andarcene, ma non sappiamo dove” spiega il 42enne Miter. Lui fa il muratore, lavora a giornata, “nessuno mi dà una casa in affitto, le agenzie vogliono una busta paga, ma io non ce l’ho”.

Con la pandemia Miter lavora pochissimo, li aiuta la Caritas di san Filippo Neri, parrocchia lontanissima, “abbiamo bussato ovunque, anche alla nostra, i Santi Martiri di Selva Candida. Ma ci hanno aiutato solo a san Filippo e le suore di Madre Teresa”.

Questa famiglia conduce un’esistenza ‘normale’ senza luce, frigo, lavatrice e tv, al freddo, col telefonino quasi sempre spento per risparmiare carica, e lunghe interminabili giornate nelle tenebre. Usano le candele, “un amico ci ricarica la power-bank ogni due giorni, per il telefonino e una lampada a led”.

Per l’acqua, “andiamo da un vicino con le taniche, ogni sera”. In cucina un fornello da camping. Senza frigo, in quella casa non entrano quasi mai carne, verdure, formaggi e salumi, un’altra faccia della povertà. I ragazzi vanno a scuola, 1/a media e 2/a superiore, indirizzo tecnico, promossi con buoni voti, parlano un discreto italiano.

A primavera solo il piccolo poteva seguire le lezioni online, perciò il grande si prendeva continui rimproveri dai prof: “Ma come fai a spiegare che non hai l’elettricità e possiedi un solo telefono? A scuola non mi credevano” racconta Miter; poi è arrivato un tablet in dono, e anche il fratello maggiore ha potuto seguire le lezioni.

Miter e i suoi sono albanesi, madre e figli hanno chiesto il permesso di soggiorno per motivi umanitari: dalla morte del padre, infatti, la vedova e i ragazzi hanno avuto qualche serio dissapore con la famiglia di origine del defunto, e si sono rifugiati in Italia.

Il nuovo compagno di lei si prende cura dei ragazzi come fossero suoi figli, e ora è in arrivo il terzo. Ma il futuro è nerissimo: lavoro quasi azzerato, l’obbligo di lasciare il seminterrato, ora il covid e l’isolamento. Forte è il timore di finire per strada: “non usciamo mai tutti insieme” dice Miter, sennò ci chiudono fuori.

“Ci vogliono far saltare i nervi, vogliono che faccio qualche pazzia così mi arrestano, ma io devo proteggere Vale e i bambini. Vorrei solo trovare un alloggio qualsiasi dove andare, siamo disperati” aggiunge.

E ricorda che questa situazione va avanti da un anno, “abbiamo denunciato la proprietaria della casa, non ci può trattare come bestie lasciandoci al buio e senza acqua e gas. Vale piange sempre, io temo per il bambino che deve nascere, i ragazzi sono sempre più silenziosi, ma non so che cosa fare”.

“Ci mancava il covid; al bambino la tosse è passata, ma Vale è incinta, se sta male non posso nemmeno chiamare il 118” aggiunge sconfortato, perché la power-bank è scarica e lui non può uscire. Prima i ragazzi andavano a una specie di doposcuola del Comune, ora non possono. Tutti chiusi in pochi metri, quasi una prigione. Sembra una casa di fantasmi.

Che cosa fate al buio tutto il giorno ? “Niente, passiamo ore in silenzio, sul letto o sul divano, guardando le ombre, non parliamo, non diciamo niente, sembra di impazzire, aspettiamo che il tempo passi, sperando che accada qualcosa, ci vorrebbe un miracolo” dice Miter.

(di Francesco Gerace/ANSA)