Arresti in Thailandia ma la protesta non si ferma

Manifestanti thailandesi fronteggiano agenti della polizia fuori dal palazzo di governo a Bangkok.
Manifestanti thailandesi fronteggiano agenti della polizia fuori dal palazzo di governo a Bangkok. EPA/STR

BANGKOK.  – Il regime thailandese prova a stroncare la protesta sul nascere, ma la protesta non si ferma: dopo lo stato di emergenza proclamato stamattina e l’arresto di 20 leader degli attivisti, in serata migliaia di giovani si sono radunati in pieno centro a Bangkok sfidando il divieto di assembramenti, e ancora più determinati di ieri.

Il clima resta pacifico, ma l’estendersi delle manifestazioni ribadisce quanto sia radicata un’idea di Thailandia opposta rispetto a quella del regime.

“É estremamente necessario introdurre urgenti misure per porre fine a questa situazione in modo rapido ed efficace per mantenere l’ordine”, ha detto la tv statale annunciando il giro di vite del governo dopo l’imponente corteo di ieri. Il provvedimento è entrato in vigore da subito: il bivacco all’esterno della sede di governo è stato smantellato, e alcuni tra i maggiori leader della protesta sono finiti in manette, portati in prigioni diverse e senza avvocato.

Senza nominarla, è probabile che la scena della limousine del re Vajiralongkorn che fatica a passare tra la folla urlante sia stata inaccettabile per le autorità di un Paese dove l’obbligo di riverire un sovrano semi-divino è inserito nella Costituzione.

Poteva essere la fine del loro breve sogno di una Thailandia più democratica, invece i giovani che animano la protesta non hanno desistito: dal pomeriggio sono affluiti in migliaia al grande incrocio di Ratchaprasong, tra alcuni dei più famosi centri commerciali della capitale: lo stesso occupato dieci anni fa dalle “camicie rosse” anti-governative, una protesta poi repressa nel sangue.

“Liberate i nostri amici!”, hanno gridato forzando il cordone dei poliziotti. In tarda serata la folla era ancora più grande, forse 10mila persone, in un’atmosfera pacifica ma senza mostrar segni di voler desistere.

Le richieste sono sempre le stesse: via il governo del generale golpista Prayuth Chan-ocha, una Costituzione che rimpiazzi quella imposta dai militari e lo stop alla persecuzione dei dissidenti. Più passa il tempo, più le proposte di riforma della monarchia si fondono con le tre richieste originali: nell’incontro ravvicinato di ieri con l’automobile della coppia reale, i manifestanti hanno gridato in coro “Le nostre fottute tasse!”.

La consapevolezza di quanto costi alla popolazione il lussuoso stile di vita di Vajiralongkorn, che vive in Germania e oggi è volato verso una residenza reale nel nord-est, è solo uno dei segnali del risveglio delle coscienze in un Paese in cui criticare il re può costare 15 anni di carcere. Ma ormai siamo oltre le critiche: anche oggi la folla ha intonato veri e propri insulti diretti sia contro Prayuth sia contro il sovrano.

Ora è da vedere quale sarà la nuova risposta delle autorità. Finora la polizia ha contenuto le proteste con le buone; il tempo dirà se la strategia è quella di aspettare che le manifestazioni perdano inerzia, o se arriverà la repressione con la forza. Gli arresti di oggi – che si sommano agli altri 21 di due giorni fa – fanno pensare che la pazienza stia scadendo.

Alcuni dei leader erano già liberi su cauzione con l’accusa di sedizione, ma il clima ora non fa pensare a un rapido rilascio. Gli attivisti rimasti promettono flash-mob mordi e fuggi da qui in avanti. Lo spazio per il dialogo tra due idee inconciliabili di Thailandia, se mai c’era, si sta riducendo ogni giorno di più.

(di Alessandro Ursic/ANSA)

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