Tour de France: Pogacar giallo di felicità, ultimo sprint a Bennett

Lo sloveno Tadej Pogacar in maglia gialla in mezzo al gruppo.
Lo sloveno Tadej Pogacar in maglia gialla in mezzo al gruppo. EPA/Thibault Camus/ pool

ROMA. – Tadej Pogacar è il volto nuovo del ciclismo mondiale e, da oggi, siede allo stesso tavolo dei corridori che hanno reso grande questa disciplina fatta di dolore, tormenti e, soprattutto, fatica. Lo sloveno, che domani compirà 22 anni, oltre a essere il secondo vincitore più giovane delle 107 edizioni del Tour de France (il più giovane ad arrivare in giallo a Parigi), è stato l’atleta che ha costruito l’impresa sportiva più entusiasmante degli ultimi anni, rovesciando la classifica generale nella cronometro di ieri a La Plance des Belles Filles.

Il corridore della UAE Emirates ha vinto il Tour ai tempi dei Coronavirus, che si è concluso con la consueta passerella oggi a Parigi, con classe, tenacia e forza, dimostrando di essere un campione con la C maiuscola. Pogacar è riuscito a cucirci addosso la maglia gialla senza l’appoggio del team (chi continua a sostenere che il ciclismo sia diventato uno sport di squadra è servito), spodestando dal trono un altro giovane di belle speranze come il colombiano Egan Bernal, le cui ambizioni sono evaporate man mano che le tappe si succedevano e le scorie della fatica diventavano insostenibili.

Pogacar ha avuto il merito, come lo ebbe Vincenzo Nibali nel 2014, di interrompere il dominio della britannica Ineos che, prima con il nome di Team Sky, aveva messo assieme i successi del 2012 (Bradley Wiggins), 2013, 2015, 2016, 2017 (Chris Froome), 2018 (Geraint Thomas) e 2019 (Egan Bernal); quest’anno, invece, se ne torna a casa a mani vuote e senza alcuna maglia, dopo che Carapaz ieri si è vista sfilare quella a pois.

Sono le modalità a rendere straordinariamente meraviglioso l’exploit di Pogacar, che chiude il Tour in maglia gialla, ma anche con le maglie bianca (miglior giovane) e a pois (miglior scalatore), oltre che con tre tappe in saccoccia. Una vittoria totale, la sua. Senza discussioni, suggellata dalla prova a cronometro di ieri, nella quale ha polverizzato le ambizioni di Primoz Roglic, l’altro sloveno che, nel Giro d’Italia 2019, dopo vari litigi con Nibali, rinunciò pure alla maglia rosa.

Roglic è il grande sconfitto delle ultime stagioni, sebbene abbia vinto la Vuelta 2019. Il crollo di ieri lo conferma, a prescindere dall’eccezionale impresa di Pogacar. Roglic, proprio alla Vuelta, nella terza settimana, aveva palesato segni di cedimento; lo stesso era avvenuto al Giro vinto l’anno scorso da Richard Carapaz.

E l’Italia? Non c’è molto da rallegrarsi, perché – a parte un Nibali, ormai avanti con l’età – il movimento offre davvero poco per le corse a tappe. Giulio Ciccone è un corridore ancora da scoprire in toto, mentre Fabio Aru è naufragato per l’ennesima volta. Resta il 10/o posto di Damiano Caruso, da sempre abituato a indossare i panni del gregario. Zero tappe vinte, gli sprinter a mani vuote e tanti rimpianti. L’Italia, in questo Tour, chiude con un bilancio in rosso.

La Slovenia, invece, piazza due corridori sui gradini più alti del podio di Parigi. Il trionfo è servito. E che dire dei francesi, che non vincono (l’ultimo fu Bernard Hinault) il Tour dal 1985? Altra nazione che esce con le ossa rotte dalla corsa gialla 2020 è la Colombia: Quintana e Bernal sono andati fuori giri, Uran ha chiuso all’8/o posto dopo avere accarezzato il podio, Miguel Angel Lopez si è dovuto accontentare della 6/a piazza.

L’ultima tappa è andata all’irlandese Sam Bennett che, allo sprint, sui Campi Elisi ha bruciato il danese campione del mondo Mats Pedersen, secondo, oltre allo slovacco ex iridatoPeter Sagan, terzo. Elia Viviani si è dovuto accontentare della 5/a piazza, Sonny Colbrelli dell’11/a.

(di Adolfo Fantaccini/ANSA)

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