Pompeo: “Mosca dietro il caso Navalny”. Ira Cremlino

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo
Il segretario di Stato americano Mike Pompeo. (Ansa)

MOSCA, 10 SET – Il caso Navalny continua a infiammare il dibattito internazionale e si arricchisce di nuovi particolari. Intanto gli Usa, che tramite il segretario di Stato Mike Pompeo hanno accusato Mosca di aver orchestrato direttamente l’avvelenamento del principale oppositore di Vladimir Putin. Affermazione che oggi il Cremlino ha definito “inaccettabile”.

E poi la netta chiusura nei confronti di una possibile commissione di inchiesta sulla vicenda, ipotesi a quanto pare ventilata dallo stesso Putin a colloquio con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ne ha dato conto in un’intervista al Foglio. “Si tratta di un malinteso”, ha tagliato corto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov sottolineando che lo zar si stava riferendo alla “pre-inchiesta” già in corso “da tempo”.

Ecco, la parte giudiziaria – diciamo così – della faccenda non è di poco conto. Perché è su quel terreno che Mosca – così come accadde al tempo dello scandalo Skripal, l’ex spia russa avvelenata a Salisbury insieme alla figlia – sta cercando d’inchiavardare il dibattito pubblico. La Russia ripete di essere “pronta” a cooperare a livello internazionale per acclarare cosa è accaduto a Navalny (avvelenato per la Germania con una neurotossina di tipo Novichok).

“Sfortunatamente – sostiene Peskov – al momento non vediamo nessuno passo reciproco da parte dei nostri colleghi tedeschi”. Per Mosca, infatti, Berlino non ha fornito nessuna “prova” a sostegno dell’ipotesi dell’avvelenamento e non avrebbe risposto alle richieste di scambio d’informazioni avanzate dalla Procura Generale russa nel quadro degli accordi bilaterali esistenti.

La Germania, dal canto suo, sostiene di aver consegnato il relativo dossier all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) con sede all’Aia, di cui fa parte anche la Russia. Ma anche qui scatta repentino un bel “niet”. “Non è vero, la Germania non ha inviato nulla alla Segreteria Tecnica, né ieri né questa mattina”, ha tuonato il rappresentante permanente della Russia presso l’Opac Alexander Shulgin.

Il ragionamento ultimo, stringi stringi, è che l’Occidente parla e accusa ma non ha nulla in mano per sostenere le sue argomentazioni. Cosa naturalmente non facile, data la situazione. Queste le parole usate dal ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, per spiegare il concetto: “Germania e Stati Uniti vogliono che la Russia si dichiari “colpevole” e ciò dimostra solo che si pongono al di sopra della legge e degli altri; perché tutti sono uguali, ma loro sono più uguali degli altri, e quindi ciò che dicono deve essere dato per scontato”.

Il Cremlino, a proposito della commissione d’inchiesta, ha spiegato che “non ci sono le basi giuridiche” per farla – perché allo stato dell’arte per Mosca non c’è stato nessun avvelenamento – ma che “de facto” se non “de jure” già si sta indagando. Tanto che da Palazzo Chigi si evidenzia come non ci siano “incongruenze” tra colloquio e intervista del premier poiché “risulta confermata la decisione russa di dare luogo ad una fase investigativa, o al limite pre-investigativa”.

Nel mentre dall’ospedale Charite di Berlino arrivano sviluppi sulle condizioni di salute del nemico numero 1 di Putin (tutt’ora al Cremlino non pronunciato il suo nome ma lo chiamano semplicemente “il paziente berlinese”). Migliora e inizia a ricordare. Circostanza che ha spinto le autorità tedesche a rafforzare la sicurezza all’ospedale.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)