La metà di pazienti Covid positivi dopo 30 giorni

In fila in attesa del proprio turno ad un supermercato di Desio.
In fila in attesa del proprio turno ad un supermercato di Desio. ANSA/SERGIO PONTORIERI

ROMA. – Il coronavirus impiega in media 30 giorni dal primo tampone positivo ad essere eliminato dall’organismo – ovvero la metà dei pazienti è ancora positiva dopo 30 giorni dalla diagnosi – e dopo 36 giorni dalla comparsa dei primi sintomi. È quanto emerso da uno studio italiano pubblicato sulla rivista BMJ Open e condotto dall’Azienda Unità Sanitaria Locale – IRCCS di Reggio Emilia su un vasto campione di individui sintomatici risultati positivi al virus tra febbraio e aprile.

È ancora poco chiara l’estensione del periodo in cui il soggetto resta contagioso dal momento della diagnosi. Infatti, un tampone positivo non necessariamente indica che il soggetto sia ancora contagioso (quindi che ci sia ancora virus attivo nell’organismo), ma segnala semplicemente la presenza di materiale genetico virale nel corpo.

L’OMS raccomanda 13 giorni di isolamento dalla comparsa dei sintomi del covid e 10 dalla data del tampone positivo in una persona asintomatica. “Ciò nondimeno in Italia – spiega all’ANSA uno degli autori dello studio, Francesco Venturelli del Servizio di Epidemiologia dell’azienda sanitaria emiliana – adottiamo un protocollo più stringente che prevede la necessità di ottenere consecutivamente due tamponi negativi per uscire dall’isolamento.

Dai risultati del nostro studio – continua l’epidemiologo – emerge che circa la metà dei pazienti sintomatici è ancora positiva a 30 giorni dal primo tampone” e che quindi è poco utile ripetere il tampone già dopo 2 o 3 settimane dalla diagnosi.

Infatti, gli epidemiologi hanno monitorato un gruppo iniziale di 4538 residenti nella provincia di Reggio Emilia (positivi e sintomatici) e visto che eseguire un secondo tampone dopo 2 o 3 settimane dal primo nella maggioranza dei casi dà un esito nuovamente positivo.

Gli esperti hanno anche visto che tra coloro che risultano negativi ad un tampone eseguito nelle prime 3 settimane dalla diagnosi, è elevato il rischio di un ‘falso negativo’, ovvero che il tampone indichi erroneamente assenza di virus nel corpo (esito negativo del test smentito al successivo tampone).

Infatti, nel campione osservato è emerso che il tasso di falsi negativi è relativamente alto (1 caso su 5) nella prima parte della convalescenza, mettendo potenzialmente a rischio il soggetto di terminare l’isolamento pur essendo ancora positivo.

Tale rischio è estremamente ridotto nel caso italiano in cui, appunto, sono richiesti due tamponi negativi consecutivi per il ritorno in comunità. Ma in altri paesi un falso negativo potrebbe favorire la trasmissione inconsapevole del virus.

“Per ridurre il numero di falsi negativi e il numero di controlli necessari – concludono i ricercatori – si potrebbe iniziare a fare i controlli a 4 settimane dal primo tampone, insomma, posticipare un po’ il primo controllo nelle persone sintomatiche in isolamento potrebbe migliorare efficienza e sicurezza dei protocolli”.

(di Paola Mariano/ANSA)

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