Nuova Zelanda, ergastolo per il killer delle moschee

Brenton Tarrant, il "killer delle moschee" durante il processo nel tribunale.
Brenton Tarrant, il "killer delle moschee" durante il processo nel tribunale. EPA/JOHN KIRK-ANDERSON / POOL

ROMA. – A 29 anni, Brenton Tarrant ha da oggi la prospettiva di non uscire mai più di prigione fino al giorno della sua morte. E il suo nome, ha auspicato la premier neozelandese, Jacinda Ardern, di sparire nell’oblio.

Così è stato punito in Nuova Zelanda, con un’inedita sentenza di ergastolo senza possibilità di benefici né di remissione della pena – il massimo previsto dal codice penale neozelandese – il terrorista suprematista bianco australiano che il 15 marzo dello scorso anno massacrò a sangue freddo e in diretta web, in due moschee di Christchurch, 51 fedeli riuniti in preghiera e ne ferì altri 40.

Un massacro che, a suo stesso dire, non lo lasciò completamente soddisfatto e per il quale aveva modificato le sue sei armi automatiche per renderle più efficienti con un tiro più rapido. Alla polizia disse che avrebbe voluto uccidere di più e poi dare fuoco alle due moschee che attaccò: la Al Noor Mosque, assaltata per prima e dove lasciò 44 morti, e poi il Linwood Islamic Centre, dove si spostò in auto e dove uccise altre sette persone. Il tutto ripreso in diretta in soggettiva con una telecamera go-pro montata sul casco.

Le immagini da lui stesso riprese fecero per un breve tempo il giro del mondo sul web e sui social, mostrando i suoi mitragliatori che bersagliavano senza pietà la gente che tentava di fuggire dalla sala preghiera della moschea Al Noor e poi i corpi ammucchiati contro la parete di fondo e sotto i tavoli.

Secondo i pm dell’accusa, il terrorista australiano ha progettato l’attacco nel dettaglio, agendo nelle ore in cui sapeva che i fedeli si sarebbero raccolti numerosi per la preghiera del venerdì.

Il giudice che ha condotto il processo al tribunale di Christchurch, Cameron Mander, prima di pronunciare la sentenza per 51 omicidi, 40 tentati omicidi e terrorismo – capi d’accusa per i quali l’imputato si è dichiarato colpevole – ha voluto una rassegna di dichiarazioni di sopravvissuti e familiari delle vittime del duplice massacro.

Un vero calvario, con momenti di rabbia e rancore, altri di misericordioso perdono, molti di struggimento. Come quando la madre del giovane Atta Elayyan, con la voce rotta dalla commozione, ha detto: “Ti sei attribuito l’autorità di prenderti le anime di 51 persone innocenti  il cui unico crimine, ai tuoi occhi, era di essere musulmane. Hai reso vedove 49 mogli e due mariti e reso orfani 51 bambini. Non posso perdonarti”.

Tre giorni nei quali Tarrant, vestito con una felpa grigia, è rimasto apparentemente impassibile. “I suoi crimini sono così malvagi che se anche rimanesse detenuto finché non muore non soddisferebbe la necessaria espiazione”, ha dichiarato il giudice Mander in una requisitoria di un’ora nella quale ha ricordato a Tarrant una per una le sue vittime, di fronte alle quali, ha detto, il terrorista suprematista anti-islamico si è mostrato in aula “senza rimorsi né vergogna”.

Pronunciata la sentenza, la comunità islamica – e non solo – di Christchurch ha espresso sollievo: “Se ha sentimenti umani, morirà nella colpa e nel rimorso”, ha commentato l’imam della moschea Al Noor, Gamal Fouda.

Drammatica la premier Ardern, che il giorno dopo l’eccidio indossò il velo islamico in solidarietà e promise di non pronunciare mail il nome del killer: “Oggi spero sia l’ultimo giorno in cui abbiamo motivo di sentire o pronunciare il nome del terrorista”, ha detto, augurandogli “una vita di silenzio totale”.

(di Fabio Govoni/ANSA)