Ondata di scioperi, Lukashenko ora evoca nuove elezioni

Il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, in una foto d'archivio.
Il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko, in una foto d'archivio.

MOSCA.  – La protesta pacifica del popolo bielorusso inizia a dare i suoi frutti. Il presidentissimo Alexander Lukashenko, dopo aver sbraitato davanti ai lavoratori della Fabbrica di trattori di Minsk che potevano scordarsi “nuove elezioni”, nel pomeriggio ha (parzialmente) ingranato la retromarcia aprendo ad un altro giro di consultazioni, “presidenziali e parlamentari”, ma solo dopo l’approvazione della nuova costituzione attraverso un referendum.

Il Paese d’altra parte si è bloccato. Questa volta, infatti, a scendere in piazza, scioperando, sono stati migliaia di lavoratori dei grandi colossi industriali, in prevalenza statali. Che hanno voluto portare la loro solidarietà ai “colleghi” – 100 su 1.500 dipendenti – della radiotelevisione pubblica, anche loro a braccia incrociate per protestare “contro le repressioni e la censura”.

Un’altra giornata storica, dunque. A dare il la è stata proprio la Belteleradio. Per qualche secondo, in mattinata, in Tv è stato trasmesso un laconico divano vuoto mentre in radio girava musica invece del notiziario. Prime scosse di un prevedibile terremoto in arrivo, dopo che il servizio pubblico ha deliberatamente ignorato la più grande adunata nella storia della Bielorussia (contro il regime) favorendo la copertura della manifestazione (finta) organizzata da Lukashenko per dimostrare di avere ancora il sostegno della popolazione.

La scena poi l’hanno occupata loro, i lavoratori. Operai e non. Tra le aziende coinvolte dagli scioperi, stando al portale Tut.by, giganti come Belaruskali, Naftan, MZKT, MTZ e BMZ. Ovvero compagnie minerarie, automobilistiche, energetiche e del comparto pesante, come le acciaierie. Tra le rivendicazioni, “la cessazione delle violenze da parte delle forze di sicurezza e la consegna alla giustizia dei responsabili, le dimissioni di Alexander Lukashenko, il riconoscimento delle elezioni come illegittime e la nomina di nuovi candidati, e il rilascio dei prigionieri politici”. Pena lo sciopero a oltranza.

Ma non sono solo gli operai ad essere scesi in piazza. Anche i medici. Anche gli orchestrali della filarmonica di Minsk. E i cittadini, come ormai ogni giorno. L’appuntamento generale è alle 18 in piazza Indipendenza, poi marcia al centro di detenzione Okrestina per chiedere la liberazione dei fermati.

Secondo l’Ufficio del Procuratore generale, quasi tutti i manifestanti arrestati nel corso delle proteste “sono già stati liberati” e ne resterebbero circa un centinaio. Quasi 700 persone hanno presentato un esposto in cui sostengono di aver subito violenze da parte della polizia. E secondo Tut.by, circa 76 persone risulterebbero “disperse” da quando sono iniziate le proteste.

Lukashenko, al di là della tattica, pare essere ormai con le spalle al muro, con l’intero Paese (o quasi) a reclamare le sue dimissioni. “Vattene!”, gli hanno urlato a muso duro un grupo di operai nel corso del suo bagno di folla alla MZKT. Svetlana Tikhanovskaya nel mentre ha rilasciato un nuovo video in cui si dice di essere “pronta” ad assumersi la responsabilità di leader a interim per portare la Bielorussia a nuove elezioni, “riconosciute della comunità internazionale”.

E qui le cose possono farsi spinose. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha convocato per mercoledì un Vertice Ue straordinario sulla crisi, con Berlino che già ventila l’ipotesi di “estendere le sanzioni ad altre figure guida del Paese”. Anche Donald Trump ha finalmente commentato definendo la situazione “terribile”. Resta l’incognita Russia.

Sui media è balenato per un giorno lo spettro delle truppe senza insegne – i famosi uomini verdi – in arrivo su camión simil-militari. Poi l’allarme è rientrato, con le smentite di Minsk e dell’esercito russo (ma soprattutto le verifiche indipendenti della stampa bielorussa). Ma la tensione resta. Mosca vede come fumo negli occhi una seconda Ucraina alle porte di casa.

(di Mattia Bernardo Bagnoli)