Calenda: “Finita concezione Pd, con M5s partiti populisti”

Carlo Calenda durante la presentazione del nuovo movimento politico "Azione" presso la sede della Stampa Estera, Roma
Carlo Calenda durante la presentazione del nuovo movimento politico "Azione" presso la sede della Stampa Estera, Roma, 21 novembre 2019. ANSA/ANGELO CARCONI

ROMA. – “La questione è semplice: nasce un’alleanza strutturale tra Pd e M5s. Il partito democratico, almeno per come era stato concepito, ovvero l’unione di liberal democratici e social democratici in un grande partito riformista a vocazione maggioritaria, è finito. Al suo posto prende forma una saldatura tra due partiti populisti con un’agenda pericolosa”.

Così Carlo Calenda, intervistato dal Messaggero, commenta il voto su Rosseau, definito una “buffonata” di una “finta democrazia”. “Nel governo precedente, il Conte1, la Lega che pure aveva meno voti del M5s, comandava – osserva – oggi l’agenda la detta il M5s. Il Pd è tornato ad essere i Ds, ed è tornato al populismo abbracciando i 5S. Non c’è una sola istanza del Pd che è stata accettata, dallo ius culturae ai decreti sicurezza.

C’è un tratto di moralismo che aiuta gli ex Ds a superare le contraddizioni politiche e a sposarsi con il giustizialismo grillino. Non hanno più identità politica ma riscoprono assistenzialismo, nazionalizzazioni, giustizialismo e finti moralismi. Una regressione totale. Il Pd, con questa alleanza strutturale e non più tattica nata per arginare Salvini, ha rinunciato al riformismo”.

Con Renzi – dice ancora Calenda – “ci siamo sentiti e parlati pochi giorni fa. Ma abbiamo visioni e progetti diversi, perché lui continua a pensare che questa alleanza serva per arginare i sovranisti, mentre io penso che sia il modo per rafforzarli, intanto governando in modo disastroso”.

Sulla fine al tetto dei mandati del M5s osserva: “Ma come si poteva pensare che uno che vendeva bibite allo stadio sarebbe tornato alla sua occupazione dopo essere stato vicepremier e ministro degli Esteri. Era da subito evidente che si sarebbe aggrappato con i rampini alla poltrona. Faccio l’esempio di Di Maio, ma vale per il 99,9% dei grillini, persone che non hanno alcuna vita professionale a cui tornare”.

Su Roma “l’area riformista dovrà trovare un candidato perché mi pare evidente che il Pd sceglierà la linea di minor resistenza alla Raggi. A loro interessa fare delle primarie tra funzionari di partito. A Roma nel Pd è in atto una guerra tra bande da tempo immemorabile. Ora non vogliono una persona forte, ma una spartizione con i 5s; a Roma ci sarà la fusione tra Pd e M5s, contro l’appoggio dei grillini a Sala, che per questo è andato in pellegrinaggio da Grillo”.

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