Trump attacca: Harris non può essere vicepresidente

La senatrice repubblicana Kamala Harris, candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti in tandem con Joe Biden.
La senatrice repubblicana Kamala Harris, candidata alla vicepresidenza degli Stati Uniti in tandem con Joe Biden. (ANSA)

NEW YORK. – Ha attaccato Barack Obama, il primo presidente afroamericano, per non essere nato negli Stati Uniti e quindi per non avere i requisiti necessari per la presidenza. E ora fa lo stesso con Kamala Harris, la prima afroamericana e di origini indiane a essere nominata per la vicepresidenza.

Donald Trump non accusa la senatrice direttamente: si tiene però alla larga dal respingere e smentire la teoria del complotto dei birther in circolazione in ambienti della destra e in base alle quale Harris non è qualificata per la vicepresidenza a causa dei suoi genitori che, quando è nata, non erano regolari dal punto di vista dell’immigrazione.

Una teoria falsa visto che Harris è nata a Oakland, in California, e quindi è cittadina americana. E anche i genitori, uno proveniente dalla Jamaica e l’altro dell’India, erano perfettamente regolari: hanno ricevuto un dottorato dall’Università della California nel 1963 e lavorano nel mondo accademico nel 1964, quando Harris è nata.

I costituzionalisti sono tutti d’accordo nel dire che lo status di immigrazione dei genitori della senatrice al momento della sua nascita è irrilevante perché, in base alla Costituzione, chiunque nasce negli Stati Uniti acquisisce automaticamente la cittadinanza americana.

Nonostante questo interpellato al riguardo Trump ha detto: “Ho sentito che non centra i requisiti” per la vicepresidenza: “non so se è vero. Ritengo che i democratici abbiamo controllato se può farlo o meno. In ogni caso è una questione molto seria”.

Jared Kushner, il genero consigliere, spiega che non era intenzione di Trump cavalcare la teoria dei birther ma poi liquida la questione con un secco: “tanto è una teoria che circola, quindi…”. La furia dei democratici è immediata.

“Non riesce ad accettare che Kamala Harris sarà vicepresidente”, dice la speaker della Camera, Nancy Pelosi. La campagna elettorale di Joe Biden bolla come “ripugnanti” e “patetiche” le affermazioni di Trump. La rabbia però non deconcentra il partito liberal dal grande appuntamento della settimana prossima quando si aprirà la convention, la prima tutta virtuale. E soprattutto dalla battaglia che si sta consumando sull’USPS, le poste americane, e il voto via posta.

Trump è contrario e non perde occasione per ribadirlo: il voto via posta vuol dire elezioni truccate, ripete da settimane rifiutandosi di stanziare nuovi fondi per il servizio postale. Nonostante questo Trump e la First Lady Melania hanno chiesto di poter votare via posta in Florida, dove sono residenti.

Agli attacchi di Trump, che ha lasciato Washington per andare a New York a trovare il  fratello ricoverato in gravi condizioni,  risponde Barack Obama che, in un tweet, osserva come “le poste non possono essere un danno collaterale per un’amministrazione più preoccupata dal sopprimere il voto che dal sopprimere il virus”.

I democratici sono favorevoli al fatto che si voti via posta a novembre. Lo sono per motivi sanitari visto il coronavirus, ma anche perché con il voto via posta l’affluenza è maggiore e i liberal hanno maggiori chance di vincere. A correre per la vittoria e a dichiararlo a chiare note è Kamala Harris, la star della convention democratica che si apre lunedì.

“Corro per vincere insieme a questo ragazzo accanto a me”, dice rivolgendosi a Biden durante la ceremonia per la firma dei documenti per ricevere la nomination. Intanto a Hillary Clinton ha un messaggio per Kamala e per le donne: l’ex segretario di stato si augura una copertura meno “sessista” delle candidate alle elezioni.

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