Debito ancora record, Covid si abbatte sulle entrate

La banca d'Italia.
La banca d'Italia. (Ansa)

ROMA. – Mario Draghi, nel celebre articolo sul Financial Times agli inizi della crisi pandemica, lo aveva previsto: l’unico modo per evitare una catena di default societari dagli esiti disastrosi sarebbe stato entrare in un’economia di guerra, ricorrendo al debito pubblico per sostenere l’occupazione e per assorbire il debito delle imprese ad ogni costo, pur di evitare il disfacimento di una parte consistente di base produttiva.

É quello che sa succedendo in numerose economie occidentali, e l’Italia non solo non fa eccezione ma, partendo da un debito pubblico particolarmente alto già prima del Covid, incarna perfettamente quel paradigma, e il dilemma che lo accompagna: fino a che punto può spingersi la politica di bilancio?

I dati più recenti sono di Bankitalia: il debito pubblico segna l’ennesimo record a fine giugno, 2.530,6 miliardi, 20,5 miliardi in più rispetto a maggio. La liquidità del Tesoro tiene, a dispetto delle indiscrezioni che parlavano di tensioni, poi smentite da Via XX Settembre: le disponibilità liquide del Tesoro si sono leggermente ridotte (-0,8 miliardi) ma restano pur sempre a 60,7 miliardi. I titoli italiani in mani estere restano stabili sopra il 30% del totale dopo che ad aprile avevano segnato il minimo da maggio 2019: a maggio sono a 677,315 miliardi di euro.

Il fabbisogno, tuttavia, ha messo le ali: scende a 20,6 miliardi a giugno dai 25,6 miliardi di maggio, ma basta raffrontarlo agli appena 461 milioni di giugno 2019, o osservare il dato cumulato degli ultimi 12 mesi, che sfiora i 100 miliardi, cifra mai vista negli ultimi anni, per avere un’idea della pressione che la risposta allo shock economico del Covid ha messo sui conti pubblici. Solo a giugno le entrate tributarie sono scese di 6,5 miliardi a 26,2 miliardi, decurtate di un quinto rispetto a un anno prima.

Nei primi sei mesi del 2020 sono diminuite di 19,4 miliardi a 169,9 miliardi, -10,3%: “risentendo – spiega Bankitalia nella pubblicazione “Finanza pubblica: fabbisogno e debito” – della sospensione di alcuni versamenti fiscali disposta dai decreti approvati a partire dal mese di marzo e del peggioramento del quadro macroeconomico”.

Dati che accreditano la recente previsione dell’Ufficio parlamentare di bilancio di un debito destinato a chiudere l’anno oltre il 160% del Pil: qualche economista privato si avvicina al 170% in virtù dei rischi globali (come l’ipotesi di una seconda ondata dei contagi), ma anche di una stima di crescita 2020 peggiore del -10,4% dell’Upb: la Commissione europea prevede un -11,2%, il Fmi un -12,8%, l’Ocse -11,3%.

A tutto ciò, guardando in avanti, vanno aggiunte incognite come il futuro esito delle moratorie sui prestiti, che potrebbero facilmente tradursi in una fiammata di crediti andati a male, così come la partita futura sul blocco dei licenziamenti che, una volta esaurito, può nuovamente scombussolare lo scenario delle previsioni.

Si spiegano così la prudenza dell’esecutivo nell’accordare ulteriori slittamenti delle scadenze fiscali, con a settembre il delicato appuntamento della Nota di aggiornamento al Def, e il ruolo indispensabile degli strumenti messi a disposizione dall’Europa per fronteggiare lo shock: dal recovery fund (210 miliardi per la Penisola), che sotto forma di prestiti avrebbe indebitato oltre misura l’Italia, all’attivazione dello Sure fino ai finanziamenti a lungo termine della Bei volti ad ammodernare la sanità italiana, nell’attesa di una decisione sul Mes.

Fino alla Bce, il cui impegno a frenare gli spread dei Paesi più in difficoltà, reso esplicito dalla presidente Christine Lagarde proprio in riferimento all’Italia,  rischia di dover durare a lungo.

Lascia un commento