Trump rompe tabù Taiwan e invia ministro, ira Pechino

Giovani cinesi in un negozio della compagnia americana Apple a Taiwan.
Giovani cinesi in un negozio della compagnia americana Apple a Taiwan. EPA/DAVID CHANG

WASHINGTON.  – Donald Trump rompe il tabù Taiwan e invia sull’isola invisa a Pechino un ministro del suo governo. La missione di piú alto livello dal 1979, quando gli Usa adottarono la dottrina “One China”, una sola Cina, e tagliarono i ponti con Taipei. Una scelta frutto del disgelo col nemico comunista voluta allora da Richard Nixon e dal suo segretario di stato Henry Kissinger.

Ora peró, a distanza di 40 anni, lo scenario é quasi ribaltato, con Usa e Cina sull’orlo di una nuova guerra fredda. Alla Casa Bianca non c’é piú Nixon, ma un Trump che sta facendo del sentimento anticinese uno dei pilastri della sua campagna per la rielezione, che si tratti di politiche commerciali, di diritti umani o di spionaggio tecnologico.

Cosí il segretario alla sanitá Alex Azar é pronto a partire per la piccola Repubblica della Cina (da non confondere con il gigante della Repubblica popolare cinese) per incontri e colloqui di alto livello. In mano il messaggio del tycoon: la visita debe essere l’occasione non solo per stringere la cooperazione sanitaria ma anche i rapporti economici.

Pechino schiuma rabbia. “Questa missione mette a rischio la pace”, commenta minaccioso il portavoce del ministero degli esteri cinese Wang Wenbin: “Gli Usa non devono inviare segnali sbagliati agli scissionisti dell’isola”, quelli che vorrebbero ricongiungersi al gigante asiatico.

Ma Trump di segnali in questi anni ne ha inviati tanti. Basti pensare che proprio su Taiwan si consumó la prima crisi internazionale dell’era del tycoon, con la telefonata di congratulazioni con la presidente taiwanese Tsai Ing-wen che fece infuriare Pechino nel dicembre del 2016. Poi, gli affari attraverso la proposta del segretario di stato americano Mike Pompeo, nel 2019, di vendere a Taipei un quantitativo di armi per 2,2 miliardi di dollari.

La data della missione di Azar non é stata ancora comunicata. Ma il ministro ha fatto sapere che gli Usa sono pronti a collaborare in maniera piú stretta con un Paese che ha definito “un modello di trasparenza e cooperazione” sul fronte della pandemia, in quello che suona come l’ennesimo affondo contro Pechino, accusata invece da Trump di aver favorito la diffusione di quello che non a caso chiama “China virus”.

Ma Taipei viene considerata un modello anche per come ha gestito la situazione. Del resto i numeri parlano chiaro: solo 426 casi e 7 vittime su 23 milioni di abitanti.

É dal 1972 che gli Stati Uniti perseguono la política chiamata “One China”, da quando l’allora presidente Nixon visití Pechino e avvió un percorso di disgelo tra le due superpotenze.

Nel 1978 Jimmy Carter riconobbe formalmente il governo di Pechino come l’unico per tutta la Cina, compresa Taiwan. Seguí la chiusura dell’ambasciata Usa a Taipei l’anno dopo.

L’ultima visita di un membro dell’amministrazione Usa a Taiwan nel 2014, quella del capo dell’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (Epa) Gina McCarthy, nell’era Obama.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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