Rapporto commissione parlamentare accusa la Russia: “Gran Bretagna nel mirino di Putin”

Ufficiali dell'esercito inglese rimuovono la panchina dove è stata trovata l'ex spia russa Skripal .
Ufficiali dell'esercito inglese rimuovono la panchina dove è stata trovata l'ex spia russa Skripal . EPA/WILL OLIVER

LONDRA. – Il Regno Unito è nel mirino dello Russia di Vladimir Putin e, se non ci sono prove concrete di interferenze elettorali significative, è solo perché non si è indagato a sufficienza sui sospetti: a cominciare da quelli sul presunto tentativo d’influenzare l’esito del referendum del 2016 sulla Brexit, o almeno di seminare discordia sull’isola.

E’ la conclusione d’un atteso rapporto della commissione parlamentare britannica sull’Intelligence redatto l’anno scorso, ma appena pubblicato dopo essere stato a lungo congelato dal governo Tory di Boris Johnson: ufficialmente per controlli di sicurezza nazionale, secondo molti per ragioni d’imbarazzo.

La commissione – guidata nella scorsa legislatura dal conservatore anti brexiteer ribelle Dominic Grieve e in questa dal conservatore filo brexiteer, ma non meno ribelle, Julian Lewis – ha presentato un documento di 55 pagine (con qualche omissis) fondato su analisi e valutazioni di esperti, di ex 007 veterani della guerra fredda o d’attivisti anti-Cremlino più che su evidenze investigative di sorta. Documento comunque pungente nei riguardi di Mosca – dove l’ennesima accusa è stata accolta a stretto giro dall’ennesima smentita -; ma anche e soprattutto del governo in carica di Sua Maestà, di quelli precedenti e dei servizi segreti dell’MI5, tutti additati per aver “sottovalutato gravemente” le manovre imputate ad agenti o alleati di Putin.

Il testo accredita il Regno come “uno dei principali obiettivi della Russia” di questi anni per il suo ruolo centrale nel fronte “occidentale anti-Mosca” e la vicinanza agli Usa; e invoca una reazione “immediata” e più decisa da parte dell’esecutivo in carica e del controspionaggio per contrastare un Paese tratteggiato tuttora nei panni del nemico. O quanto meno di “un abile avversario”, pronto a usare l’arma del denaro come quella d’una crescente capacità di “cyber attacco”.

Avversario verso il quale gli ultimi governi – nonostante il livello di scontro ormai senza precedenti segnato dalle sanzioni e dalle espulsioni incrociate di massa innescate da vicende shock come l’uccisione col polonio a Londra dell’ex spia dissidente Aleksandr Litvinenko e poi il tentato avvelenamento nervino a Salisbury dell’ex 007 doppiogiochista Serghei Skripal – avrebbe risposto in modo debole, nella disamina dei deputati.

Una debolezza rinfacciata a 4 o 5 primi ministri. Iniziando dalla politica quasi ventennale delle “braccia aperte” evocata da uno dei membri della commissione, il laburista Kevan Jones, verso la “nuova normalità” e “l’influenza degli oligarchi russi di Londongrad”.

Per proseguire con l’accusa ai governi più recenti (e all’intelligence interna) d’aver “attivamente evitato” d’approfondire le denunce di asserite intromissioni russe, a colpi di “disinformazione” anti Ue o di strumentalizzazioni polemiche, nella campagna referendaria sulla Brexit; e ancor prima in quello del 2014 sull’indipendenza della Scozia. Referendum rispetto ai quali Downing Street ripete non essere emersa alcuna prova di risultati viziati per effetto di condizionamenti esterni, ma su cui il rapporto pretenderebbe ben altre investigazioni.

La reazione di Dominic Raab, ministro degli Esteri di Johnson, si limita del resto per ora a ribadire l’impegno per “la difesa della nostra democrazia” e per far “desistere la Russia dai suoi attacchi contro il Regno Unito e i nostri alleati”.

Impegno dimostrato secondo Raab proprio in questi giorni dalla doppia denuncia pubblica di nuovi sospetti d’interferenza moscovita riferita alla diffusione di un singolo documento durante la campagna elettorale britannica di dicembre e al presunto spionaggio delle ricerche sui vaccini anti-Covid.

Sospetti che il Cremlino rigetta peraltro categoricamente come rigurgiti di “russofobia”. “La Russia non si è mai intromessa nei processi elettorali in alcun Paese al mondo”, nelle parole di Dmitri Peskov, portavoce di Putin. E le accuse di quest’ultimo rapporto rimangono “basate sul nulla”.