Falò accesi sul Sole, con immagini mai viste

Foto del Sole della missione Solar Orbiter.
Foto del Sole della missione Solar Orbiter. (ANSA)

ROMA. – Una moltitudine di piccole eruzioni che si accendono come falò sulla superficie del Sole: sono le immagini, mai viste finora e le più ravvicinate di sempre, che la sonda Solar Orbiter ha inviato a Terra non appena tutti i suoi strumenti hanno completato la fase di test e si sono messi all’opera, puntati sulla nostra stella.

Le immagini “superano le nostre aspettative”, ha detto Daniel Müller, responsabile scientifico della missione dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), gestita con la Nasa in una collaborazione che riunisce 20 Paesi; importante il contributo dell’Italia, con Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), le università di Firenze, Genova e Padova.

Milioni o forse miliardi di volte più piccoli rispetto alle eruzioni solari finora osservate, i falò sono stati visti dallo strumento Eui (Extreme Ultraviolet Imager), dell’Osservatorio reale belga (Rob). “Anche se a prima vista il Sole appare tranquillo, se lo osserviamo in dettaglio vediamo ovunque queste eruzioni in miniatura”, ha detto il responsabile dello strumento, David Berghmans.

Nessuno si sarebbe aspettato di avere immagini così ricche di particolari inediti in tempi così rapidi e nonostante il lockdown imposto dalla pandemia di Covid-19.

Lanciata il 10 febbraio, la sonda Solar Orbiter ha completato a metà giugno la fase di messa in servizio e ha eseguito il suo primo avvicinamento al Sole. Poco dopo, i gruppi scientifici europeo e statunitense responsabili dei 10 strumenti della missione hanno eseguito all’unisono i test e il risultato è stato sorprendente.

Scattate a 77 milioni di chilometri dalla superficie della stella, circa la metà della distanza tra il Sole e la Terra, le immagini costituiscono il ritratto più ravvicinato mai ottenuto del Sole. E’ solo un assaggio perché la sonda è programmata per avvicinarsi ancora di più alla nostra stella, sfidando le altissime temperature.

A proteggerla è uno speciale scudo in grado di resistere fino a 500 gradi grazie al rivestimento di polvere nera a base di fosfato di calcio, molto simile ai pigmenti usati decine di migliaia di anni fa nelle pitture rupestri. Questa difesa sarà indispensabile quando, alla fine del 2021, la Solar Orbiter comincerà a raccogliere i dati scientifici alla distanza di 42 milioni di chilometri dal Sole, inferiore a quella che separa Mercurio dal Sole.

Il suo obiettivo è osservarne i poli solari e sicuramente ci saranno sorprese nei dati che arriveranno dagli strumenti. Tra questi parlano italiano il coronografo Metis, che osserva la parte più esterna dell’atmosfera solare, cui hanno collaborato Asi, Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’Inaf (Inaf-Iaps), le università di Firenze e Padova, Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ifn) con OHB Italia e Thales Alenia Space, istituto tedesco MPS di Gottinga e Accademia delle Scienze di Praga.

Parla italiano anche Swa (Solar Wind Analyzer), che studio il vento solare e al quale collaborano Inaf, Techno System Developments, Planetek, Sitael e Leonardo, con il finanziamento dell’Asi. Stix, infine, è un telescopio che osserva i brillamenti solari ai raggi X duri, il cui software è fornito dall’Italia e permette integrare le informazioni contenute nei raggi X con quelle degli altri strumenti di Solar Orbiter.

(di Enrica Battifoglia/ANSA)

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