I Redskins cedono e cambiano nome dopo 87 anni

Il logo del Washington Redskins nel campo di football americano del Redskins Park, in Ashburn, Virginia.
Il logo del Washington Redskins nel campo di football americano del Redskins Park, in Ashburn, Virginia. EPA/JIM LO SCALZO

WASHINGTON. – I Redskins, blasonata squadra di football Usa, ritirano ufficialmente dopo 87 anni un nome da tempo considerato un’offesa razzista nei confronti dei nativi americani ma che Donald Trump ha continuato a difendere sino ai giorni scorsi, bollando il cambio come una capitolazione al “politicamente corretto”.

Il team ha ceduto alle proteste per la giustizia razziale seguite all’uccisione dell’afroamericano George Floyd, nonché alle pressioni di sponsor e azionisti, che avevano minacciato di cancellare i loro contributi e il loro logo se non fosse stato cambiato il nome “Pellirossa”.

A partire da Fedex, che ha un contratto da 205 milioni di dollari sino al 2025 e il cui ceo Fred Smith ha una quota nella società. Ma anche Pepsi e Bank of America avevano incoraggiato la svolta, mentre giganti come Nike, Amazon, Walmart, Target e Dick’s avevano rimosso tutta la merce legata ai Redskins.

Dopo aver avviato un esame della vicenda, oggi il team ha annunciato il ritiro del nome e del logo, che raffigura la faccia rossa di un indiano con le piume sui capelli. Quelli nuovi saranno pronti per la prossima stagione.

Il propietario Dan Snyder e il coach Ron Rivera stanno lavorando insieme “per sviluppare un nuovo nome e un approccio progettuale che rafforzerà la posizione della nostra franchigia orgogliosa e ricca di storia e ispirerà i nostri sponsor, i nostri fan e la nostra comunità per i prossimi 10 anni”, spiega la società.

Intanto sui social è già partito il totonome e la star afroamericana dell’Nba Kevin Durant ha già avanzato la sua proposta: Red Wolves, Lupi rossi.

Nata nel 1932 come Boston Braves, la squadra fu rinominata con il controverso nickname nel 1933, quattro anni prima di trasferirsi nella capitale, dal fondatore George Preston Marshall, un segregazionista. Nel 2013 Snyder aveva promesso che il nome non sarebbe mai cambiato. A nulla erano servite le pressioni di Barack Obama. Ma ora i tempi sembrano cambiati.

Tanto che lo stesso commissario della National Football League (Nfl) Roger Goodell, dopo aver vietato ai giocatori di inginocchiarsi in segno di protesta contro l’ingiustizia razziale, ha annunciato che all’inizio della prossima stagione  l’inno nazionale afroamericano sarà eseguito prima di quello nazionale.

E sarà probabilmente accompagnato dal nome di una delle vittime degli abusi della polizia, come ad esempio George Floyd, sulla magliette dei giocatori o sui caschi.

Intanto Open Society Foundation, il gruppo filantrópico fondato dal magnate liberal George Soros, ha annunciato che investirà 220 milioni di dollari a favore della battaglia per la giustizia razziale, una somma enorme che sosterrà per anni l’attività di diversi gruppi afroamericani in prima linea contro il razzismo.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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