Da Usa schiaffo a Ue su web tax, Bruxelles reagisce

Un articolo sulla web tax. (Ansalatina)
Un articolo sulla web tax. (Ansalatina)

BRUXELLES-  – Si riaccende la tensione tra Usa e Ue sulla web tax. La decisione di Trump di sospendere le trattative al tavolo dell’Ocse ha fatto infuriare le capitali europee. Dopo aver tolto i sigilli dalla lettera di “ritiro” del segretario americano al Tesoro, Steve Mnuchin – indirizzata ai ministri dell’Economia di Italia, Francia, Spagna e Regno Unito – Parigi non le ha mandate a dire.

“É una provocazione”, ha tuonato il ministro francese Bruno Le Maire.    E anche Bruxelles tira dritto e non si piega alle minacce di Washington di imporre dazi se i Ventisette decideranno di mettere le mani nelle tasche dei colossi americani del digitale come Google, Amazon e Facebook.

“Abbiamo chiesto agli Usa di tornare” a trattare, hanno fatto sapere dalla Commissione Ue. Ma se entro quest’anno non si troverà un’intesa globale sulla tassa “andremo avanti” da soli, “con una nuova proposta a livello europeo”, ha scandito rammaricato il commissario Ue per l’Economia, Paolo Gentiloni, che ha anche promesso una reazione “unitaria” da parte dell’Europa in caso di escalation.

Il rischio, però, è che tra i leader Ue, già impegnati nel difficile negoziato sul Recovery Fund, le divisioni si acuiscano. Lo strappo statunitense riporta infatti in casa degli europei il delicato dibattito sull’opportunità di colpire la maxi-elusione fiscale dei grandi gruppi del web. E questa volta, davanti alla recessione più profonda dal secondo dopoguerra, serve trovare in fretta una soluzione.

Aumentare le risorse proprie dell’Ue, con nuove entrate comunitarie come la web tax, e legarle al Recovery Fund è uno degli scenari auspicati da Bruxelles per riprendersi dalla crisi. L’imposta digitale porterebbe nelle casse continentali fino a 5 miliardi di euro in più all’anno ed è tra le proposte più gettonate. Ma fin qui le capitali Ue non sono mai riuscite a trovare l’unità.

Da una parte, Paesi come Francia, Italia e Spagna spingono – sostenuti dalla Commissione – per ridurre le perdite generate dai comportamenti elusivi delle multinazionali. E proprio Parigi è stata la prima in Europa ad approvare la “d-tax” del 3% sui ricavi delle Big Tech, per un gettito stimato di 500 milioni di euro.

Sul fronte opposto, però, altri governi come Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Malta e Cipro, forti di giurisdizioni più favorevoli, si sono sempre detti contrari a tassare i giganti del web. Senza contare che anche le altre ipotesi sul tavolo Ue per aumentare la potenza del bilancio comune, come una tassa sulle emissioni di Co2 – Ets, la plastic tax e la tobin tax, finora hanno incontrato parecchie resistenze.

I negoziati Ocse sulla web tax finora erano serviti come “assist” ai leader Ue per continuare a rimandare la decisione. Ma la nuova sfida di Trump costringe ad accelerare. E Bruxelles, che spera ancora che lo stop degli Usa sia soltanto “temporaneo”, resta ferma nell’indicare la fine del 2020 come data limite per l’intesa internazionale.

Una posizione condivisa anche dall’Italia, con il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che sostiene “l’importanza di una soluzione globale” e si è detto “determinato” a continuare a lavorare per un accordo entro l’anno.

Anche perché, ha avvertito il segretario dell’Ocse, Angel Gurria, decisioni autonome dei governi darebbero luogo “a controversie fiscali” capaci di innescare “una guerra commerciale”.

L’approccio Ocse, ha ricordato Gentiloni, è basato su “due pilastri”: tassare il profitto all’origine e definire un’imposta minima per evitare forme di dumping. Ma, in assenza di un’intesa globale, la responsabilità della decisione passerà al blocco Ue. E la strada è tutt’altro che lineare.

(di Valentina Brini/ANSA)

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