Trump tenta di bloccare il libro di Bolton

Il presidente degli Stati Uniti mostra un gesto di rabbia.
Il presidente degli Stati Uniti in un gesto di rabbia. (ANSA/EPA)

WASHINGTON.  – Donald Trump va allo scontro frontale con tutti coloro che potrebbero danneggiare la sua immagine o limitare la sua libertà nella corsa per restare alla Casa Bianca. Nel mirino ora ci sono John Bolton e i social.

Il dipartimento di Giustizia, diventato il braccio armato del presidente, ha presentato una causa all’ex consigliere per la Sicurezza nazionale per bloccare la pubblicazione del suo libro “The Room Where It Happened” prima che esca in libreria il 23 giugno.

“Contiene informazioni classificate”, sostiene il ministero. Ieri il presidente aveva detto che considera ogni conversazione con lui “altamente classificata” e aveva minacciato che Bolton potrebbe trovarsi di fronte a “problema penali” se facesse uscire il libro.

L’ex consigliere per la Sicurezza nazionale aveva firmato un accordo di riservatezza quando era entrato alla Casa Bianca e inizialmente aveva sottoposto il manoscritto all’esame della presidenza. Ma alla fine era arriva una sfilza di omissis e aveva deciso di andaré avanti per la sua strada.

Gli esperti ritengono che ogni tentativo di Trump fallirà, anche perché i capitoli più attesi riguardano l’ossatura del processo di impeachment: le manovre del tycoon (e del suo avvocato Rudy Giuliani) per costringere il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ad aprire un’inchiesta su Joe Biden, il suo rivale nella corsa alla Casa Bianca che ora nell’ultimo sondaggio Reuters-Ipsos lo stacca di ben 13 punti (48% a 35%).

Manovre che comprendevano il blocco degli aiuti militari a Kiev e la promessa di una visita a Washington.

Il libro comunque rischia di rimettere in discussione l’immagine del tycoon con la testimonianza diretta di un suo ex stretto collaboratore (che non fu sentito al Congresso) e di aggiungersi ad un altro libro compromettente, quello di Mary Trump, figlia del fratello maggiore del presidente Fred Trump Junior, in uscita in agosto.

Il dipartimento di Giustizia si prepara anche a proporre una riduzione delle tutele legali di cui le piattaforme online hanno goduto per anni nel tentativo di renderle più responsabili nel controllo dei loro contenuti. L’obiettivo è quello di spingerle a essere più aggressive nell’affrontare i comportamenti illeciti e dannosi sui loro siti e a essere più corrette nelle loro decisioni sulla rimozione dei contenuti discutibili.

La mossa rappresenta un’ulteriore escalation nei già tesi rapporti fra l’amministrazione Trump e società tecnologiche quali Twitter, Google e Facebook. Il mese scorso Trump aveva firmato un ordine esecutivo che prendeva di mira proprio le tutele legali dei social media, rispondendo così ai timori dei conservatori che le accusano di censura. Quella del ministero è tuttavia una proposta legislativa che deve passare dal Congresso.

E dal Congresso dovrà passare anche la riforma della polizia dopo le proteste per l’uccisione di George Floyd. I senatori repubblicani hanno svelato oggi la loro proposta annunciando un primo voto procedurale la prossima settimana. Non è chiaro se i dem contribuiranno a raggiungere la soglia dei 60 voti nella speranza poi di possibili emendamenti.

Per ora considerano il piano del Gran Old Party una versione annacquata della loro legge alla Camera, che però per i repubblicani non passerà mai al Senato.

Le proposte dei due partiti hanno dei denominatori comuni, come rendere il linciaggio un crimine d’odio federale, incoraggiare l’uso della body cam per gli agenti, migliorare l’addestramento della polizia. Ma il pacchetto repubblicano, a differenza di quello dem, non consente alle vittime di abusi di denunciare la polizia, non mette al bando completamente la stretta al collo (chokehold) e non prevede nuove regole per limitare l’uso della forza letale.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)