Il virus affossa l’economia Gran Bretagna, vettori aerei in rivolta

British Airways
Aeroplani della British Airways rimasti a terra nell'aeroporto di Heathrow, Londra.

LONDRA. – Lo tsunami economico scatenato dall’emergenza coronavirus investe il Regno Unito al pari, se non peggio, dei Paesi più colpiti in giro per il pianeta. Ma l’isola di Boris Johnson, prima nel Vecchio continente nella triste classifica delle vittime del Covid-19 in cifra assoluta (e seconda solo a Belgio o Spagna in rapporto alla popolazione), tira dritto sulla strada parallela della Brexit.

I dati sul Pil, accompagnati dallo scontro approdato ormai in tribunale fra il governo Tory e le compagnia aeree che protestano contro la quarantena temporanea obbligatoria sugli ingressi nel Regno dall’estero in vigore a scoppio ritardato da questa settimana, sono da incubo. Non solo e non tanto per il meno 20,4% registrato da marzo ad aprile, record storico negativo su base mensile tutto sommato prevedibile nei 30 giorni coincisi con il lockdown pressoché totale del Paese e di gran parte delle sue attività.

Quanto per le previsioni sull’inevitabile recessione di fine 2020: fissate dall’Ocse per il Regno a un ipotetico meno 11,5% (sempre che un secondo picco di contagi della pandemia non peggiori ancora le cose), contro il meno 11,4 della Francia, 11,3 dell’Italia o 11,1 della Spagna.

Stime che riflettono anche le incognite della Brexit, al di là di una ripresa destinata a essere comunque cadenzata e graduale anche laddove dovesse provarsi fondata la speranza dei governi che “il peggio sia passato” sul fronte Covid.

Di certo, a proposito della Brexit, c’è che l’ipotesi di un’estensione dello status quo garantito dalla transizione post divorzio attualmente in vigore con l’Ue, e in scadenza il 31 dicembre 2020, appare tramontata un volta per tutte.

Il rifiuto, evocato a più riprese dal premier Boris Johnson e imposto addirittura per legge nel Parlamento britannico, è stato formalizzato oggi dal ministro Michael Gove al tavolo virtuale del Comitato congiunto co-presieduto in collegamento video col vicepresidente della Commissione europea Maros Sefcovic.

“Gove non sarebbe potuto essere più chiaro, la prendo come una conclusione definitiva”, ha preso atto Sefcovic, auspicando a questo punto l’unica alternativa di “un’accelerazione nei negoziati” sulle relazioni future Ue-Gb e sul libero scambio: negoziati finora impantanati dalle pregiudiziali reciproche su vari punti chiave, incluso il dossier delicatissimo sulle frontiere dell’Irlanda su cui, secondo Bruxelles, c’è ancora “molto lavoro da fare”.

A proposito di frontiere, il governo Johnson ha intanto deciso di rinunciare, a dispetto della linea dura sul no alla proroga della transizione, ai piani d’introdurre controlli doganali completi e immediati dal primo gennaio 2021 su tutte le merci soggette a dazi che continueranno a essere importate dai 27.

Optando invece per un percorso scaglionato in tre tappe (con obblighi e pagamenti differiti per alcuni prodotti ad aprile e a giugno) a prescindere dalla reciprocità o meno dei Paesi Ue sulle esportazioni. Elementi di “flessibilità”, nelle parole di Gove, che mirano a ridurre l’impatto del grande cambiamento sulle imprese più esposte.

Ma si preannunciano in effetti come un brodino per molti, nel contesto di un terremoto epocale nelle relazioni commerciali con quelli che restano mercati di riferimento. E della parallela crisi innescata dalla pandemia.

Contesto ai limiti dell’apocalisse ad esempio per compagnie aeree come British Airways, EasyJet o Ryanair che oggi stesso hanno concretizzato la minaccia di un’azione legale contro l’esecutivo Tory per la quarantena obbligatoria imposta per almeno tre settimane ai viaggiatori, con sintomi o meno, in arrivo Oltremanica da qualunque Paese straniero.

Una misura che il governo motiva come appropriata, per ridurre il rischio di reintrodurre il coronavirus da fuori, dopo il faticoso calo dei contagi sul fronte interno. Ma che ai tre grandi vettori appare “devastante per il turismo e i posti di lavoro”, fin troppo restrittiva e priva di “giustificazioni scientifiche” visto che si applica senza corridoi aerei di sorta a Paesi in cui i tassi d’infezione rimangono al momento inferiori a quelli del Regno.

A decidere, ora, dovrà essere l’Alta Corte di Londra.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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