La produzione ad aprile tocca il fondo, -42,5%

Opeari al lavoro in una industria metalmeccanica.
Opeari al lavoro in una industria metalmeccanica. (ANSA)

ROMA.  – L’industria italiana ad aprile ha toccato il fondo, con un tracollo del 42,5% rispetto all’anno prima. Una cifra che dà la misura dell’impatto económico dell’epidemia. L’Istat mai aveva registrato una caduta simile.

Senza la farmaceutica e l’alimentare sarebbe andata ancora peggio. Se il secondo trimestre inizia tutto in salita compare però un segno più, anche se flebile, davanti alla produzione energetica. Preludio di un maggio, prospettato da un po’ tutti gli analisti, in ripresa.

Già mese su mese si nota, infatti, un rallentamento della contrazione di qualche punto percentuale: il calo rispetto a marzo si ferma al 19,1%. La crisi che stiamo vivendo tuttavia è diversa dalle precedenti. Anche per i tempi. Aprile è stato un mese di lockdown pieno. Chiusure e aperture sono state dettate da provvedimenti di tipo normativo.

Le dinamiche hanno quindi seguito logiche differenti rispetto a quelle di mercato. Per maggio le attese sono di un rimbalzo a doppia cifra a livello congiunturale, con una riduzione meno ampia dell’ammanco su base annua.

Certo il 2020 è compromesso, visto che solo nei primi quattro mesi l’arretramento è del 18,7%. Non si potrà fare troppo affidamento sull’export, con il Nord Est che nel primo trimestre ha accusato il colpo più duro, che da solo spiega la metà delle perdite nazionali sul fronte del commercio estero.

Molto dunque dipenderà dai consumi interni, ovvero dai comportamenti delle famiglie. Ma qui c’è l’incognita lavoro e i dati aggiornati dall’Istat raccontano come solo nei primi tre mesi dell’anno il buco nelle ore lavorate sia stato pari a oltre 1,6 milioni di unità full time.

Ora gli ammortizzatori sociali e i rinforzi varati dall’esecutivo per fronteggiare l’emergenza hanno impedito che ciò si traducesse in un’emorragia occupazionale. Tra gennaio e marzo i posti di lavoro si sono ridotti in misura assai meno forte (-0,2%) rispetto alle ore lavorate (-7,5%) o alle unità di lavoro intese, in termini statistici, come posizioni fittizie impiegate a tempo pieno (-6,9%).

Insomma tutto è collegato, i lavoratori sono rimasti a casa nel momento in cui le fabbriche hanno chiuso. Ed è stato così per la stragrande maggioranza del comparto del tessile, che ha visto ad aprile la produzione ridotta al lumicino, addirittura dell’80,5% su base annua. Dello stesso ordine di grandezza il tonfo per i mezzi di trasporto, con gli autoveicoli che cedono tutto, -100% nel confronto mensile.

Pesa anche il dimezzamento subito dal comparto dei macchinari, un pezzo fondamentale dell’industria italiana. Rispetto ad aprile dello scorso anno non c’è voce che si salvi. L’unico segno più è rispetto a marzo e si registra per la produzione dei farmaci (+2,0). Non poteva che essere così visto che di emergenza sanitaria si è trattato.

Regge, poi, l’alimentare (-0,1%). Ma non c’è da rallegrarsi, la perdita è stata sì “più contenuta ma non per questo da sottovalutare”, tiene a precisare Federalimentare. La luce in fondo al tunnel sta nel +0,7% congiunturale del macro-comparto dell’energia.

Guardando al totale, cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno Confcommercio, dati “drammatici” ma “attesi e superati”. Tocca proiettarsi in avanti: “la valutazione sul futuro del Paese si gioca sulla rapidità della ripresa che si osserva a maggio e sul suo eventuale rafforzamento a giugno”, avverte l’associazione.

I sindacati parlano di numeri “allarmanti” e reclamano la necessità di un confronto a tutto campo. Per la Cisl è venuto il momento di stringere “un patto sociale”. La Uil ricorre alla formula del “patto per il Paese”. La Cgil richiama alla “responsabilità” di fronte a quella che è una crisi “molto seria” e alla fase “dura” che ci attende.

(di Marianna Berti/ANSA)

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