Big Gods

È esploso negli ultimi anni un dibattito importante sull’origine delle religioni “morali” basate sul concetto di un Dio onnipotente che premia il buon comportamento umano – magari permettendo l’ingresso al Paradiso dopo la morte – e punisce invece i “cattivi” con una qualche versione dei “fuochi eterni”. Questo tipo di Dio appare nelle fedi abramitiche, dette anche “del Libro” oppure “monoteiste”: il Cristianesimo, l’Ebraismo e l’Islam.

Le antiche società in scala ridotta – quelle chiamate “pagane” dai posteri – credevano invece in un mondo spirituale i cui dèi erano poco interessati alla moralità umana. Gli bastava che i credenti “portassero rispetto” soddisfacendo i loro obblighi rituali con l’appropriata deferenza. Doveva essere sufficiente in una società piccola in cui più o meno tutti i partecipanti si conoscessero di persona.

Le fedi monoteiste sono – paragonate alla storia umana – relativamente recenti e la questione delle loro origini impatta tanti campi intellettuali, partendo ovviamente dalla teologia, ma toccando anche la filosofia politica, il pensiero sociale e molti altri temi, perfino l’urbanistica. Fino a poco fa era considerata praticamente acquisita l’ipotesi che le fedi dei “Big Gods” – l’etichetta che si applica al dibattito – fossero state necessarie allo sviluppo delle società complesse, che senza una sorta di “giudice universale” non si sarebbe potuto adeguatamente instaurare un livello necessario di fiducia reciproca.

Ora quella visione, forse troppo occidentale, è stata rovesciata da una gigantesca ricerca – chiamata Seshat, dal nome della dea egizia degli scribi – che ha occupato un centinaio di studiosi per quasi un decennio. Semplificando, lo studio – che analizza 440 società di una trentina di regioni del mondo – dimostra chiaramente che gli dèi  “moralizzatori” sono invece un prodotto della società complessa e non una necessaria precondizione. I Big Gods vengono dopo…

Le religioni abramitiche sono concettualmente delle monarchie in cui un Dio comanda e giudica dal trono che simboleggia il “Regno Divino” – una concezione che appare nettamente nell’immagine qui sopra dell’incisore tedesco Julius Schnorr von Carolsfeld (1794-1872). Gli artisti disposti a raffigurare direttamente il Dio cristiano – con l’ovvia eccezione di maestri molto sicuri di sé, come Michelangelo Buonarotti con la “Creazione di Adamo” – sono sempre stati in forte minoranza rispetto a quelli che preferivano cimentarsi con il Figlio, Gesù Cristo – già “Cristo Re”, anche se, pur identificandosi come Messia, non si è attribuito le prerogative politiche che questo comportava…

(di James Hansen)

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