Recovery fund da 750 miliardi, all’Italia la fetta più grande

Bandiere di fronte alla sede dell'Unione Europea a Bruxelles.
Bandiere di fronte alla sede dell'Unione Europea a Bruxelles. (ANSA/EPA)

RUXELLES.  – É servito più tempo del previsto, ma l’attesa non è stata vana. Il piano della Commissione per il rilancio dell’economia europea va oltre le aspettative dei più ambiziosi, e cerca allo stesso tempo di rassicurare i più cauti, togliendo dal tavolo la mutualizzazione del debito.

Ma la “svolta”, come l’ha chiamata il commissario Paolo Gentiloni, c’è: per la prima volta la Commissione andrà a finanziarsi sui mercati, per raggiungere la considerevole cifra di 750 miliardi di euro, cioè quasi un intero bilancio europeo, grazie alle garanzie comuni prese proprio dal bilancio Ue.

Nasce così il Recovery instrument, che andrà ai Paesi più sotto forma di sovvenzioni a fondo perduto che di prestiti, e che assegnerà all’Italia la parte più consistente: 172,7 miliardi di euro, 82 in aiuti e 91 in prestiti. Non si mettono in comune i debiti passati insomma, ma si gettano le basi per una capacità finanziaria comune, in grado di alimentarsi da sola attraverso risorse di tutti e 27 gli Stati membri.

Oltre ai 750 miliardi del Recovery Fund, ribattezzato “Next Generation Eu”, per rilanciare l’economia affossata dal coronavirus la Commissione vuole usare anche il prossimo bilancio 2021-2027. E rimette sul tavolo la proposta da 1.100 miliardi, già discussa e impallinata a febbraio scorso dai leader. Sommando anche i 540 miliardi del pacchetto già approvato che comprende Mes, Sure e Bei, si arriva ad un “piano Marshall” da 2.400 miliardi. Che diventano 3.000, secondo la Commissione, se si considera l’effetto moltiplicatore di alcuni strumenti.

É ancora meno della metà di quanto gli Usa hanno iniettato finora nella loro economia, ma è senza dubbio la risposta economica più ampia e rapida che l’Ue abbia mai messo in piedi dalla sua fondazione.

La vera novità è il Recovery Fund, le cui risorse saranno divise tra prestiti (250 miliardi) e sovvenzioni (500). Per finanziarlo, però, la Commissione dovrà aspettare il 2021: le garanzie per emettere titoli saranno disponibili soltanto con il con il nuovo bilancio pluriennale e dopo l’approvazione di tutti e 27 i Parlamenti nazionali.

Per quest’anno, quindi, le risorse disponibili saranno poche: 11,5 miliardi, che potranno essere usati per rifinanziare soltanto le politiche tradizionali ed il nuovo fondo per ricapitalizzare le imprese (Solvency), ha spiegato il commissario al Bilancio Ue, Johannes Hahn.

Ma dall’anno prossimo il Recovery fund – che sarà temporaneo e in piedi solo fino al 2022 – distribuirà aiuti soprattutto attraverso il Recovery and Resilience Facility (RRF), cioè lo strumento che vincolerà gli Stati ad usare i fondi per le riforme e gli investimenti indicati da Bruxelles nelle sue raccomandazioni del Semestre europeo.

Ogni Paese dovrà preparare il suo piano da solo, quindi nessuna costrizione dalla Ue, ma non potrà allontanarsi dalle priorità comuni, come digitale e transizione energetica, e dovrà affrontare quelle che Bruxelles considera le sue debolezze strutturali. Per l’Italia, ad esempio, riforma della giustizia e investimenti nella sanità.

Il premier Giuseppe Conte è soddisfatto dell’ “ottimo segnale da Bruxelles”. E incita il Governo a farsi trovare pronto, varando un “piano strategico”. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri lo rassicura: il piano è in preparazione e guarderà a “crescita, occupazione e coesione”, ma anche “innovazione e sostenibilità”.

Per il ministro degli Esteri Luigi Di Maio “la priorità adesso è abbassare le tasse”, e a quello vanno indirizzati i fondi Ue. Contrari al piano i sovranisti all’opposizione. Per il leader della Lega Matteo Salvini “nessuna buona notizia concreta per l’Italia, per ora solo altre parole”. Mentre per la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, la proposta non è soddisfacente.

Sebbene la premessa sia interessante – dopo la proposta lo spread è sceso a quota 190, il minimo da aprile -, la battaglia in Europa deve ancora cominciare. Per i Paesi “frugali” – Olanda, Austria, Danimarca e Svezia – la proposta targata Von der Leyen è solo “un punto di partenza” per negoziati che, avverte L’Aia, “saranno lunghi”. Il fronte del Nord vuole rivedere sia le cifre che la distribuzione di aiuti e prestiti.

Impossibile che un accordo si chiuda già al vertice del 19 giugno, Merkel e Macron indicano in un summit ad hoc da convocare a inizio luglio la partita decisiva. Che si giocherà sotto presidenza tedesca

(di Chiara De Felice/ANSA)

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