Il dramma degli immigrati bloccati nel Libano chiuso per il Covid

Bambini giocano in un campo di rifugiati nella cittá di Baalbek, Líbano. Immagine d'archivio
Bambini giocano in un campo di rifugiati nella cittá di Baalbek, Líbano. Immagine d'archivio. (ANSA/AP Foto/Bilal Hussein)

BEIRUT.  – Nel Libano afflitto da una disastrosa crisi economica e all’ombra della disoccupazione galoppante anche a causa del blocco dovuto al coronavirus, una donna filippina è morta in circostanze ancora non chiarite in un “centro di accoglienza” allestito dalla stessa ambasciata delle Filippine a Beirut.

Una morte, ufficialmente per suicidio, che mette in risalto il tema scottante dei diritti di oltre 250 mila lavoratori immigrati, per lo più originari dei paesi del sud-est asiatico e del Corno d’Africa, da settimane di fatto bloccati in Libano dove la crisi del coronavirus si è aggiunta alla già difficile situazione economico-finanziaria.

Il Libano è ufficialmente in default economico e il governo ha avviato contatti con il Fondo monetario internazionale.

L’ambasciata delle Filippine in Libano ha annunciato che la donna si è suicidata lanciandosi dal balcone del palazzo dove è ospitato il centro di accoglienza. Sulla sua morte è stata aperta una inchiesta, ha aggiunto l’ambasciata che ha ribadito che le condizioni del centro di accoglienza sono in linea con gli standard internazionali.

Ma gli attivisti per i diritti umani libanesi denunciano “le pessime condizioni igienico-sanitarie” in cui decine di donne filippine sono tenute nel “centro di accoglienza” della stessa ambasciata. La commissione governativa libanese per i diritti umani ha affermato che il centro è sovraffollato e non si rispettano le norme di distanziamento sociale.

Con la crisi finanziaria in Libano, definita la peggiore degli ultimi trent’anni, la lira libanese ha perso più della metà del suo valore. Questo ha spinto gran parte delle famiglie a pagare badanti e colf in lire locali e non in dollari, limitando fortemente la capacità dei lavoratori immigrati di inviare le rimesse mensili ai loro parenti.

Molti altri lavoratori immigrati hanno perso del tutto il loro lavoro, in molti casi rimanendo senza una casa, e chiedono con insistenza di tornare a casa. Ma nel Libano chiuso per il Covid-19 sono letteralmente rimasti bloccati (l’aeroporto è chiuso da metà marzo) spingendo alcune delle loro rispettive ambasciate ad aprire dei “centri di accoglienza”.

Nei giorni scorsi il governo libanese ha annunciato di aver raggiunto un accordo con alcuni paesi per organizzare i primi voli di rimpatrio.

 

Lascia un commento