Erri De Luca compie 70 anni: “La parola rivoluzione è scaduta”

Lo scrittore Erri De Luca in una foto d'archivio
Lo scrittore Erri De Luca in una foto d'archivio. EPA/ANDREU DALMAU

ROMA. – Sarà a scalare, da solo, in montagna, Erri De Luca nel giorno del suo settantesimo compleanno, il 20 maggio. “Non festeggio” dice all’ANSA lo scrittore tradotto in trenta lingue, che ha fatto tanti mestieri e vissuto tante vite. Poeta, attore teatrale, autore di cortometraggi, traduttore da molte lingue che ha imparato da autodidatta, tra cui swahili, yiddish e ebraico antico, De Luca ha lasciato Napoli, la città dove è nato il 20 maggio del 1950, a 18 anni ed è cominciato il suo impegno nella sinistra extraparlamentare.

E’ stato operaio in Francia, volontario in Africa, autista di convogli umanitari e traduttore di alcune parti dell’Antico Testamento. Ma se pensa alla sua vita non riconosce “nessun percorso piuttosto uno zigzagare da una tappa all’altra in maniera caotica, senza nessuna linea retta come gli ebrei nel deserto del Sinai per 40 anni” racconta lo scrittore che ha vissuto il lockdown nella sua casa in aperta campagna a 30 chilometri da Roma dove continua a piantare alberi.

Nel settembre 2013 è stato incriminato per “istigazione a commettere reati” per interviste in sostegno alla lotta No Tav in Val di Susa e dopo cinque udienze, nel 2015 è stato assolto “perché il fatto non sussiste”. Vicenda che ha portato al libro ‘La Parola Contraria’ (Feltrinelli).

“Ho vagato nel mio tempo. Come uno del Novecento, un secolo molto impegnativo per i suoi inquilini. Il secolo della grandi migrazioni, delle rivoluzioni, della guerra moderna. Ho fatto parte dell’ultima generazione rivoluzionaria del 1900. Quando sono andato via di casa, a 18 anni, avevo deciso di non voler più fare esami.

Uscivo dal liceo classico e mi sono trovato una generazione che occupava gli atenei. Io, da solo, li avrei sbeffeggiati ma ho capito che la pernacchia poteva andare bene per me, non per la generazione dei miei coetanei che voleva l’urto frontale.

Ho obbedito all’ordine del giorno di quella gioventù. La mia libertà è stata quella di poter dire di sì alle cose che mi venivano addosso. Anche in Val di Susa, quando mi hanno convocato, non potevo che dire di sì. Sono stato con loro dieci anni prima di essere incriminato” spiega l’autore di libri come ‘Il peso della farfalla’ e ‘Mondedidio’ e anche del documentario ‘Alberi che camminano’ che ha tradotto in napoletano e sceneggiato ‘La voix humaine’ di Cocteau per l’interpretazione di Sophia Loren.

Oggi la “parola rivoluzione è scaduta, si è esaurita nel Novecento”. La nuova è “una generazione profetica” dice parlando dei tredicenni-quindicenni. “Sono ammirato, ci credo in questa gioventù. Stanno accumulando saperi per poter inventare un futuro dell’economia del mondo che sarà della riparazione e del risanamento e che potrà essere redditizia. Chi nega questa evidenza, come chi nega le pandemie, sono cascami del passato”.

Più che uno scrittore, De Luca che ha pubblicato il suo primo romanzo ‘Non ora, non qui’ nel 1989, si considera un lettore. “Sono sempre stato un temperamento solitario e Napoli è la città meno adatta per esserlo. Ho approfittato della biblioteca di mio padre quando ho capito che la lettura mi giustificava, è una meravigliosa macchina di isolamento. Ho letto molto più di quanto ho scritto. Quando scrivo il massimo che mi capita è di essere soddisfatto. Quando leggo posso avere entusiasmi e felicità che non si manifestano con la scrittura. In comune le due cose hanno che le faccio quando mi va”.

Ed è un tipo solitario il protagonista del racconto che ha scritto per “The Decameron 2020” , un nuovo progetto pensato nei giorni dell’emergenza Coronavirus, ora su Youtube. “Con due amici, la produttrice cinematografica Paola Bisson e il regista americano Michael Mayer, abbiamo proposto a scrittori del mondo di scrivere delle loro quarantene, cose brevi, di cinque minuti, poi lette da attrici e attori internazionali. Hanno aderito scrittrici cinesi, un autore indiano che ha fatto leggere il suo racconto da una Sophia Loren indiana, Shabana Azmi. Di italiani c’è Luigi Lo Cascio che ha scritto e letto una bellissima storia” spiega De Luca che al momento è preso da questo progetto e sta traducendo dall’ebraico antico le storie che riguardano la vita del profeta Elia.

“Mi piace questa lingua perché la divinità si manifesta con le parole e ‘dire’ è un verbo ripetuto che serve a creare” spiega. Dei giorni della quarantena De Luca sottolinea quanto “sia stato strepitoso il modo in cui si è passati dall’idolatria dell’economia alla priorità della vita. E’ una specie di conversione spirituale. E’ successo tutto per necessità, non per virtù e invece bisogna fare di questo stato di necessità una virtù”.

Il prossimo libro? “Verrà quando deve arrivare”.

(di Mauretta Capuano/ANSA)