Lo sciamano di Tucacas

l'ultimo sciamano
L'ultimo sciamano. (I&AL)

– Incredibili le cose che accadono in questa terra, dove non manca mai un motivo per stupirsi – commenta Pino al suo compagno di viaggio, mantenendo però la promessa di non svelare il segreto dell’astuto santone. – Chi avrebbe mai sospettato che fosse italiano lo sciamano di Tucacas…

La storia incomincia un giorno di febbraio quando Pino, siciliano di Marsala, alzatosi dal letto alle prime ore dell’alba come soleva fare ogni mattina per andare al lavoro nei pressi di Valencia[2], nota sull’addome una macchia rossastra che dall’ombelico si prolunga fino al fianco destro. Non ci fa caso in un primo momento, perché pensa che quella striscia possa essere la conseguenza della molla del pigiama nuovo che gli va un po’ stretto. Tuttavia, avverte un prurito e non smette di grattarsi, tant’è che a furia di farlo con le unghie si procura delle piccole piaghe sulla pancia. Il giorno dopo nota che la striscia rossastra era cresciuta fino a raggiungere la schiena. E poiché non aveva indossato il pigiama dalla molla stretta deduce, ormai senza più dubbi, che doveva essere un’altra la causa di quella strana riga che gli circonda la vita. Si preoccupa, allora, e parla con la moglie.

– Caspita, amore – le dice. – Guarda che cosa strana da ieri mi è uscita sulla pancia.

La donna osserva con estrema attenzione, fa un ghigno con le sue belle labbra e sentenzia senza esitare:

– Quello che tu hai, tesoro, si chiama culebrilla[3]. È una malattia seria perché non esiste medicina per curare quest’herpes. Anche la mia comare l’ha avuta e il medico le ha detto che la scienza può fare ben poco per controllare questo male tipico del tropico. Lui stesso le aveva suggerito di visitare uno sciamano, gli unici in grado di eliminare la dolenza. Su, ci dobbiamo affrettare – dice angosciata Maria dopo qualche istante. – Dio non voglia che si trasformi in una spiacevole disgrazia. Chiamerò Anita per farmi dire dov’è esattamente la capanna dello sciamano che ha guarito lei.

Ricevuto l’indirizzo dell’osannato santone, Pino chiede a un peón[4] della sua tenuta di accompagnarlo in quel luogo, assai vicino al mare, dove si giunge attraversando un sentiero intricato tra rovi e altre piante rare. Entra da solo nella capanna di fango e canne di paludi. All’interno, rimane impressionato dalla quantità di santi allineati su un ripiano di legno e la sfilza di candele accese lungo le pareti. Accanto ai santi, però, c’è anche la statuetta di Bolívar e alla sua destra quella del Negro Primero[5], il coraggioso lanciere delle montoneras[6] di Páez. Lo incuriosisce, inoltre, in un angolo della capanna – sotto il ritratto enorme di una coppia che dall’aspetto sembrano i genitori dello sciamano il giorno delle nozze – la presenza di un’altra statua, quella di un santo a lui noto con un lungo bastone in mano e in testa la mitra, il copricapo da vescovo.

– Siediti paesano e togliti la camicia – gli dice il santone in un perfetto accento che non è, però, quello tipico dello spagnolo parlato in questa terra. – Vediamo cos’hai. Oh, non dirmi niente. Si vede chiaramente qual è il male. È culebrilla quella brutta striscia che quasi unisce la testa con la coda. Quando ciò avviene, poi c’è poco da fare: la morte non perdona. Per fortuna, non è il tuo caso. Sei arrivato in tempo.

Estrae da un cassetto un fascio d’erba dalle foglie lanceolate, nervose e dentellate ai bordi. Lo introduce in un calderone annerito per l’uso eccessivo sul fuoco e lo lascia finché l’acqua bolle per poi strofinarglielo sull’addome. Pino avverte d’immediato un gran sollievo. Ma non finisce lì la questione. Lo sciamano accende un lungo sigaro nero e comincia a spargere di fumo e a fare il segno della croce sul suo corpo[7]. Recita, inoltre, una preghiera strana e incomprensibile, perché parla talmente svelto che è impossibile seguirlo. Dopo una mezz’oretta gli dice finalmente:

– Alzati, compare, il tuo male è curato.

Pino sente davvero di essere guarito, perché non avverte più bruciore, o prurito, e nemmeno malessere per quella striscia rossastra che a poco a poco si assottiglia e si schiarisce sempre più. Paga con piacere la somma convenuta e, sebbene si morda la lingua per non farsi scappare ciò che vorrebbe dire in quel momento, alla fine la scioglie e comincia a dialogare con quell’incredibile personaggio al quale ne indovina l’origine:

– Amico – gli dice – scommetto che sei italiano. Lo intuisco dalla tua pronuncia, ma anche da quel San Gennaro che in Venezuela pochi conoscono. Che ci fai qui? Come mai sei arrivato in questa capanna? Chi ti ha insegnato a guarire con tutte queste erbe che vedo davanti a me e che coltivi fuori nell’orto, come se tu gestissi un mercato di verdure fresche?

Lo sciamano è scosso da quelle domande inaspettate ma subito si riprende.

– Bene – risponde. – Siccome provieni anche tu dalla bella Italia, dove entrambi siamo nati, voglio essere sincero con te e ti confiderò il segreto che per la prima volta svelo. Tanti anni fa, quando sono arrivato a Caracas, lavoravo come venditore di stoffe, di quelle ordinarie nella mia cara Napoli ma che qui, invece, erano considerate merci pregiate. Ne traevo buoni profitti ma, ahimè, quanto si doveva sudare per riscuotere i titoli di credito, che era il modo di vendita a quell’epoca! E, inoltre, quanta fatica per salire e scendere per le strade malconce delle colline con i borsoni addosso, schivare i cani che non davano tregua, sopportare il solleone del mezzogiorno o la pioggia inclemente che scrosciava torrenziale quando meno te l’aspettavi. Insomma, un enorme sacrificio in questa terra che con molto meno sforzo ti fa ricco lo stesso. La fortuna si presenta un giorno, mentre facevo il mio solito percorso per il quartiere Los Erasos di San Bernardino[8]. M’imbatto in un vecchio barbone malridotto che sembrava un sacchetto d’immondizia sul ciglio della strada. Gli porgo aiuto e questi mi dice a mo’ di ringraziamento: “Migliaia di persone mi sono passate innanzi incuranti se fosse uomo o cane la persona che giaceva a terra logora e affamata. Soltanto tu hai dimostrato pietà per questo essere che non pretende più nulla dalla vita, che solo attende rassegnato la morte ormai prossima. Per questo meriti un buon regalo”. Mi mette in mano una busta di canapa di manila stropicciata, quasi nera dalla sporcizia, che contiene vari fogli corredati da disegni in cui sono descritti, in modo elementare, gli effetti curativi di erbe e piante, come pure una serie di preghiere che aiutano a migliorare la salute del paziente. In un primo momento, non prendo sul serio quelle strane note, ma poi ho occasione di constatare che funzionano eccome i rimedi indicati in quelle pagine. Imparo, così, che l’erba morella cura la culebrilla come quella che tu avevi, ma anche, ad esempio, che la citronella in un baleno fa espellere il muco dai bronchi e dai polmoni, la camomilla dà sollievo ai dolori stomacali e calma persino il mal di denti, la melissa anestetizza quasi in un batter d’occhi, lo zenzero placa la tosse e cura il raffreddore, la piantaggine fa miracoli per la gastrite, e mi fermo qui per non annoiarti oltre. Inizio, in questo modo, a guarire le persone in una casa di Caracas, ma poi mi accorgo che è meglio farlo in un luogo periferico, lontano dalla capitale, per evitare che gli ispettori sanitari ti piombino addosso come le mosche sui mucchi di spazzatura, non perché solerti nella difesa della salute altrui, bensì per l’estorsione, al fine di trarne un ingiusto profitto personale. E poi, in una capanna solitaria tra alberi e cinguettii di uccelli tropicali si crea uno scenario bucolico propizio per quest’attività che è molto rispettata in quest’amata terra ancora popolata di gente incauta. Per dare quindi una maggiore credibilità al mio ruolo di sciamano, ho imparato a memoria le preghiere scritte sui fogli che mi ha consegnato il vecchio, e altre ancora che fingo di recitare mormorandole tra le labbra. E così, con il tempo, sono diventato il santone più rispettato della zona…

– Tutto questo va bene, l’ho capito – osa interromperlo Pino. – Ma dimmi di te, dove vive la tua famiglia, se ne hai una, che te ne fai delle tue ricchezze che devono essere ingenti se penso alla somma che io stesso ho dovuto sborsare oggi…

– Sì, ho una famiglia e assai felice – lo interrompe a sua volta l’uomo con un’espressione allegra. – Ho anche denaro in abbondanza. Proprio per questo, sono stanco di travestirmi con questi strani abiti: piume di gallo in testa per corona, collane di denti infilati e alternati con semi di heliconia[9], babbucce tessute con erbe secche, eccetera. Questa farsa ha ormai i giorni contati. Non lo dico tanto per le erbe che in fondo funzionano, quanto piuttosto per l’inganno di preparare pozioni agli innamorati afflitti, o per calmare le gelosie delle donne tradite dai mariti, o per assicurare la fortuna al gioco, ed altre cose ancora. Non ne posso più. Sono stufo, amico. Me ne torno a Napoli, la mia città amata. Ma ho pensato, prima della fuga, ed ora svelo a te il mio segreto con la speranza che tu lo voglia mantenere, di mettere un cartello all’ingresso della capanna – e glielo mostra – con il seguente messaggio che ho tanto meditato: “In questa terra di grazia, come la definì Colombo, tutto è possibile: persino che un italiano diventi uno sciamano. Se qualcuno ha tratto benefici dalla pianta miracolosa o dal sermone uscito dalle sue labbra, bene per lui. Se, invece, il risultato non è stato soddisfacente, perdonatelo per favore, perché il vecchio bisunto che gli ha svelato il segreto della santeria non gli ha spiegato purtroppo come si arriva direttamente a Dio quando fallisce l’intermediazione della Vergine, o di Bolívar il figlio prediletto, o di San Gennaro il santo napoletano che scioglie il sangue… Firma: Pasqualino Esposito”.


[1] Piccolo centro turistico situato nello stato Falcón ubicato nei pressi del Parco Nazionale Morrocoy. Dal suo porto, infatti, partono piccole imbarcazioni dirette verso le principali spiagge del Parco.

[2] Vedere Nota 4, Cap. III.

[3] La culebrilla (si legga culebriglia) o herpes zoster è una malattia causata dal virus della varicella zoster. Nei paesi tropicali, anche se con caratteristiche diverse, è pressappoco il corrispettivo del nostro “fuoco di Sant’Antonio”.

[4] Vedere Nota 2, Cap. XI.

[5] Pedro Camejo (1790-1821), più conosciuto come Negro Primero, è stato un eroe della guerra d’indipendenza venezuelana, unico ufficiale di colore nell’esercito di Bolívar. Muore combattendo nella Battaglia di Carabobo, il celebre scontro che segnò l’Indipendenza del Venezuela. Il tenente Camejo lottava tra le schiere del Generale José Antonio Páez Herrera (1790-1873), uno dei più illustri eroi venezuelani, tre volte presidente della Repubblica. La fantasia popolare, con il tempo, insieme ad altri eroi e benefattori, lo ha elevato agli altari dei santoni attribuendogli miracolosi interventi.

[6] Vedere Nota 4, Cap. II.

[7] Stregoni e santoni usano la pratica di aspirare grosse boccate da un sigaro artigianale per interpretare dalle forme e dalle tonalità del fumo il presente, il passato e il futuro della persona che si sottomette al rito. Scagionano, contemporaneamente, eventuali mali che riscontrano con ripetuti segni della croce ed una serie di orazioni.

[8] San Bernardino è situato a nordest del Municipio Libertador di Caracas. L’urbanizzazione possiede molti spazi pubblici, tra cui piazze, corsi e il famoso Museo di Arte Coloniale “Quinta Anauco”, all’entrata del popoloso quartiere Los Erasos.

[9] L’heliconia è una pianta tropicale, tipica dell’Amazzonia che produce un frutto duro e secco il cui seme viene usato dai santoni nei loro riti.

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