Garante della Privacy: “Attenzione all’uso improprio smart working”

Smart working, tavolo da lavoro di gruppo a casa
Tavolo da lavoro di gruppo a casa, modo "smart working".

ROMA. – Catapultati all’improvviso in una postazione ‘da remoto’, tra orari dilatati, mix di lavoro e attività domestiche, occhi fissi sul pc e telefonini che vibrano incessanti mentre si accavallano i messaggi di un numero ormai imprecisato di chat.

La pandemia da coronavirus ha determinato un diffuso ricorso allo smart working, spingendo “una quota significativa della popolazione in una dimensione delle cui implicazioni non sempre si ha la piena consapevolezza e di cui va impedito ogni uso improprio”.

L’altolà arriva dal Garante della Privacy, Antonello Soro, che in audizione in commissione Lavoro al Senato sottolinea il suo punto di vista sulle ricadute occupazionali dell’epidemia, partendo da un presupposto: nell’attuale contesto “l’autodeterminazione del lavoratore rischia di essere la prima libertà violata”, ma “il diritto alla protezione dei dati consente di impedirlo: valorizziamolo, dunque, in emergenza e non solo”.

Il ricorso intensivo alle nuove tecnologie, avverte il Garante, “non può rappresentare l’occasione per il monitoraggio sistematico e ubiquitario del lavoratore, ma deve avvenire nel pieno rispetto delle garanzie sancite dallo Statuto a tutela dell’autodeterminazione”, che vuol dire innanzi tutto “un’adeguata formazione e informazione del lavoratore” sul trattamento a cui saranno sottoposti i suoi dati.

E quindi, per esempio, “non sarebbe legittimo fornire per lo smart working un computer dotato di funzionalità che consentano al datore di lavoro di esercitare un monitoraggio sistematico e pervasivo dell’attività compiuta dal dipendente”.

E soprattutto, avverte Soro, “va assicurato in modo più netto di quanto già previsto anche quel diritto alla disconnessione, senza cui si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”.

Tra le altre indicazioni per le aziende in questa fase di emergenza, Soro ricorda che “uno strumento di prevenzione che certamente non può essere imposto ai lavoratori (assunti o candidati che siano) è il tracciamento dei contatti”, sistema al quale si può aderire esclusivamente su base “volontaria”.

E sottolinea che “vanno distinti obblighi del datore di lavoro e del medico competente”: il primo si occupa di garantire “l’incolumità dei lavoratori, senza tuttavia avere cognizione diretta delle loro patologie”, ma disponendo solo del giudizio di “idoneità” alle mansioni. Solo al secondo, invece, “spetta la valutazione della necessità di sottoporre i lavoratori a particolari analisi diagnostiche”, compresi i “test sierologici”.

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