Silvia Romano torna a casa: “Mi sono convertita all’Islam”

Silvia Romano saluta all'arrivo nell'aeroporto di Ciampino
Silvia Romano saluta all'arrivo nell'aeroporto di Ciampino. ANSA/FABIO FRUSTACI

ROMA. – Un lungo abbraccio con i familiari, la prima esplosione di gioia per scacciare un incubo durato 18 mesi: così Silvia Romano ha riconquistato una piccola parte di normalità, appena rientrata in Italia dopo la fine della sua prigionia in Somalia.

“Sto bene mentalmente e fisicamente e sono felicissima”, sono state le prime parole della cooperante milanese all’aeroporto di Ciampino, dove ad accoglierla c’erano anche il premier Giuseppe Conte ed il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Prima di tornare a casa, in Lombardia, il colloquio con i pm romani, a cui ha raccontato tra le altre cose di aver chiesto il Corano a metà prigionia, di essersi convertita all’Islam spontaneamente e di non essersi sposata. Silvia Romano ha trascorso la notte a Mogadiscio dopo la ritrovata libertà, grazie ad un’operazione dell’Aise, i servizi di sicurezza esterna italiani, supportati dai colleghi somali e turchi, che l’hanno recuperata in una zona a 30 km dalla capitale.

Il rientro in Italia è avvenuto via Gibuti, con un Falcon dell’intelligence atterrato all’aeroporto militare di Ciampino alle 14. La ragazza è scesa dal velivolo con guanti e mascherina anti-coronavirus e indossando un “jilbab”, abito tradizionale somalo senza un forte connotato religioso ma comunque di uso comune in ambienti dove è diffusa la fede islamica.

Arrivata nella sala d’ingresso, accompagnata da due agenti a volto coperto, si è stretta alla madre e alla sorella, poi al padre, che l’ha accolta con un inchino, prima di stringersi a lei. Tra le lacrime di felicità. “Sono stata forte”, ha detto ai genitori, in apparente buona salute, ed ha ringraziato “le istituzioni”.

Conte, dopo averla salutata, ha detto che “in questo momento di grande difficoltà” è arrivato un “segnale che lo Stato c’è”. E “quando lavoriamo coesi e concentrati ce la facciamo sempre”, ha aggiunto il premier, ringraziando i servizi, la Farnesina, Di Maio e le autorità giudiziarie.

Il ministro degli Esteri, offrendo il gomito a Silvia come da protocollo anti-covid, ha sottolineato che “l’Italia non lascia indietro nessuno” ed ha assicurato: “lavoreremo per riportare a casa anche gli altri italiani in stato di prigionia all’estero”.

La seconda tappa romana è stata nella caserma dei Ros per incontrare il pm Sergio Colaiocco e l’antiterrorismo dei carabinieri, che in questi mesi hanno svolto le indagini. “Durante il sequestro sono stata trattata sempre bene: mi avevano promesso di non uccidermi e così è stato”, ha detto ai magistrati, che in quattro ore di colloquio hanno cercato di ricostruire le varie fasi del rapimento avvenuto il 20 novembre 2018 in villaggio in Kenya, dove la 25enne milanese si occupava di bambini per conto di una onlus.

Finora sembra certo che sia stata catturata su commissione, da un gruppo di criminali comuni locali assoldati dai jihadisti somali di al Shabaab o comunque da un gruppo a loro affiliato. Anche perché il suo passaggio oltre confine sarebbe stato quasi immediato: “In questi mesi sono stata trasferita frequentemente, sempre in luoghi abitati, in almeno 4 covi, sempre alla presenza degli stessi carcerieri”, ha spiegato Silvia.

Altro tema da approfondire, la sua presunta conversione all’Islam, che fonti investigative avevano ipotizzato potesse essere stata forzata come frutto “della condizione psicologica in cui si è trovata”. Silvia però ha assicurato di aver abbracciato la nuova fede spontaneamente: “E’ successo a metà prigionia, quando ho chiesto di poter leggere il Corano e sono stata accontentata”. Ed ha anche smentito la notizia emersa nei mesi scorsi secondo cui sarebbe stata costretta a sposare uno dei carcerieri: “Non c’è stato alcun matrimonio né relazione, solo rispetto”.

Sui social non è sfuggito che a Ciampino Silvia indossasse una veste molto abbandonante: circostanza che in molti hanno interpretato come la possibilità che possa essere incinta. Ma questa ipotesi al momento non trova alcun riscontro.

C’è poi la questione della modalità del rilascio, se si considera che gli Shabaab hanno bisogno di denaro per finanziare la loro guerra allo stato somalo in nome della sharia, quindi un ostaggio straniero può rappresentare una preziosa merce di scambio.

Proprio sull’ipotesi che l’intelligence abbia pagato un riscatto per Silvia si è innestata la polemica politica a Roma. A partire da Matteo Salvini: “E’ chiaro che nulla accade gratis ma non è il momento di chiedere chi ha pagato cosa”, ha affermato il leader leghista, mettendo in guardia dai “rischi” corsi dalle forze dell’ordine per questo tipo di operazioni.

“Se Salvini è a conoscenza del pagamento di un riscatto il presidente del Copasir lo convochi per riferire tutto”, ha replicato il segretario del comitato parlamentare sui servizi Federica Dieni.

(di Luca Mirone/ANSA)