Coronavirus: la lezione di Bergamo per la Fase 2

L'arrivo dei medici italiani dislocati a Milano e Varese per l'emergenza CoVid 19 all'aeroporto Orio al Serio di Bergamo, Bergamo 18 aprile 2020
L'arrivo dei medici italiani dislocati a Milano e Varese per l'emergenza CoVid 19 all'aeroporto Orio al Serio di Bergamo, Bergamo 18 aprile 2020. ANSA/SIMONE VENEZIA

ROMA. – Tamponi per isolare chi potrebbe essere contagioso e strutture per accogliere chi ha l’infezione ma non la malattia, test sierologici, mascherine, distanziamento sociale, evitare assembramenti, rispettare l’igiene: affrontare la fase 2 dopo il lockdown significa farlo con questi strumenti.

E’ la lezione di Bergamo, una lezione durissima che ha insegnato come test e un lockdown precoce avrebbero potuto evitare tante morti, descritta in una lettera sul New England Journal of Medicine dal direttore dell’Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi, e dai medici Stefano Fagiuoli e Ferdinando Luca Lorini, dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

“E’ stato un periodo terribile, ma quanto è stato fatto nell’ospedale di Bergamo è miracoloso”, ha detto Remuzzi all’ANSA. “Non sarebbe stato possibile senza mettere in campo una forza straordinaria, basata soprattutto su ragazzi giovani”. Nella lettera si legge che in Lombardia, in particolare nella provincia di Bergamo, il virus ha potuto espandersi rapidamente per i “ritardi nel riconoscimento del SarsCoV2 nei pochi pazienti infetti ricoverati nel piccolo ospedale di Alzano Lombardo” e “la provincia non è stata chiusa fino all’8 marzo”, due settimane dopo i primi casi accertati nell’ospedale di Alzano.

Rapidamente la situazione è peggiorata e l’ospedale Papa Giovanni XXIII non è più riuscito a contenere l’impatto delle richieste di ricovero. “Ora non dobbiamo sbagliare la seconda parte, ora sappiamo come comportarci”, ha detto Remuzzi.

“In questa fase i tamponi servono soprattutto a isolare le persone che potrebbero essere contagiose, quindi andrebbero rintracciati i contatti, ma bisognerebbe avere un piano relativo alle strutture in cui accoglierli: sta mancando la parte di implementazione”.

Importanti anche i test sierologici che, ha aggiunto, “sono necessari a capire quanti sono stati in contato con il virus: attualmente non sappiamo quanti sono, tutte le stime partono da dati sbagliati”. Quello che è certo, ha osservato, è che ora “è fondamentale uscire dalle case, altrimenti povertà e conflitti sociale potrebbero provocare un numero di morti maggiore rispetto al virus. Ci troveremmo di fronte a un dramma di proporzioni inimmaginabili”.

Soprattutto, ha concluso, “riaprire deve essere una funzione della nostra capacità di curare i malati”. Ora, ha aggiunto, “la malattia sembra cambiata, non è più aggressiva come prima ma non sappiamo il perché”.

(di Enrica Battifoglia/ANSA)

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