Pompeo accusa: “Il virus arriva dal laboratorio di Wuhan”

Un ricercatore lavora nel laboratorio di Huoyan in Cina.
Un ricercatore lavora nel laboratorio di Huoyan in Cina. EPA/SHEPHERD ZHOU CHINA OUT

NEW YORK. – “Il coronavirus arriva dal laboratorio di Wuhan”. Dopo l’ipotesi rilanciata qualche giorno fa da Donald Trump – e seccamente smentita dall’Oms oltre che da Pechino – è stato il ministro degli Esteri americano Mike Pompeo ad indicare nell’istituto di virologia della città cinese epicentro della pandemia mondiale l’origine di tutto. In un’intervista alla Abc, il segretario di Stato Usa ha parlato di “enormi prove” a disposizione: “Noi sosteniamo dall’inizio che il virus è originato lì. Ora l’intero mondo può vederlo”.

Le accuse di Pompeo piovono mentre sui media internazionali filtra un rapporto degli 007 della Five Eyes nel quale si punta il dito contro Pechino per aver mentito sull’origine del Covid-19. Nel documento di 15 pagine, la coalizione delle intelligence americana, inglese, canadese, neozelandese e australiana descrive i tentativi iniziali del regime di minimizzare il virus, cercando di insabbiare le tracce tramite la censura.

Già agli inizi di dicembre, sostiene il rapporto degli 007, la Cina sapeva che il virus poteva essere trasmesso da uomo a uomo e aveva iniziato a limitare le ricerche online sulla nuova misteriosa polmonite. E mentre diceva al mondo che le restrizioni ai viaggi non erano necessarie, Pechino aveva bloccato gli spostamenti al suo interno.

La Cina, ha rincarato la dose Pompeo nell’intervista alla Abc, “ha fatto di tutto per assicurarsi che il mondo non sapesse del virus in modo tempestivo. Questo è un classico tentativo di disinformazione comunista”. Pechino, ha incalzato ancora, “ha agito come fanno i regimi autoritari”, scatenando così “una crisi enorme”.

All’interno dell’amministrazione Usa si fa dunque sempre più largo la convinzione che la Cina, con il suo atteggiamento, sia direttamente responsabile della pandemia che ha fermato il mondo intero. E proprio per questo il presidente americano non ha escluso nei giorni scorsi la possibilità di nuovi dazi contro il Made in China per farla pagare a Pechino.

Nulla è ancora deciso ma, secondo indiscrezioni, grandi manovre sono in corso alla Casa Bianca per valutare come punire il Dragone. I dazi sono una delle opzioni ma, al di là dei proclami di Trump, rappresentano un’arma a doppio taglio viste le ripercussioni economiche che avrebbero su un’economia americana già in forte difficoltà a causa del virus, che ha causato quasi 70.000 morti, uno ogni 44 secondi nel solo mese di aprile, come ha riportato la Cnn.

A guardare alla Cina è anche il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, secondo il quale Pechino ha molte domande a cui rispondere. In ogni caso, secondo la sua versione, a New York il virus sarebbe probabilmente arrivato dall’Europa, che all’inizio dell’epidemia nessuno giudicava un pericolo.

Secondo un studio del Centers for Disease Control and Prevention, nel mese di febbraio negli Stati Uniti sono arrivati 139.305 viaggiatori dall’Italia e oltre 1,7 milioni dall’Europa, dove il virus si stava diffondendo silenziosamente. Pur constatando come il quadro a New York stia migliorando, Cuomo ha ribadito che è ancora troppo presto per riaprire.

Lo Stato di New York, assieme ad altri sulla costa orientale, al Michigan e alla California è uno di quelli che resterà chiuso ancora per settimane. Un lockdown non senza polemiche e proteste, anche alla luce della primavera finalmente sbocciata e della conseguente voglia di uscire di casa. Solo a Central Park sono state distribuite sabato oltre 10.000 mascherine per consentire alla gente di godersi il bel tempo all’aria aperta in sicurezza.

“Chiudere è molto più facile che riaprire”, ha però avvertito Cuomo. La Casa Bianca sta seguendo a distanza le mosse dei vari Stati che hanno deciso di riaprire, con Trump che si è apertamente schierato con i manifestanti che vogliono tornare a lavorare e contro i governatori che resistono alle riaperture. Uno scontro nel quale è intervenuto anche George W. Bush. Dopo mesi di assenza dalla scena pubblica, l’ex presidente repubblicano ha lanciato un appello all’unità di fronte alla “minaccia comune”.

(di Serena Di Ronza/ANSA)