Pubblica Amministrazione: dubbi su buoni pasto in smart working

Il Ministro della P.a, Fabiana Dadone, durante il tavolo di programma su semplificazione normativa e burocratica e riforma fiscale,
Il Ministro della P.a, Fabiana Dadone, durante il tavolo di programma su semplificazione normativa e burocratica e riforma fiscale,(ANSA / Filippo Attili - Palazzo Chigi)

ROMA.  – I sette euro al giorno che spettano al dipendente pubblico sotto forma di buono pasto potrebbero saltare. Causa smart working.

Per ora non c’è nessuna decisione. Al momento ogni amministrazione si regola da sé. Ma se il lavoro da casa entrerà a regime, una volta superata l’emergenza, allora una scelta si imporrà.

La ministra della Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, spiega che la materia è oggetto di discussione sindacale.  riconoscimento del ticket nel momento in cui viene meno la presenza fisica in ufficio.

Le parole della ministra, pronunciate nel corso di un’audizione in video collegamento alla Camera, suscitano l’immediata reazione da parte del leader della Lega, Matteo Salvini: “Invece di aiutare i lavoratori, che aspettano da settimane la cassa integrazione promessa, il governo pensa di togliere anche i buoni pasto”. Dadone, ministra pentastellata, replica seccamente: “Se vuole aiutare, doni parte del suo stipendio”.

La P.a oggi va avanti per l’85% in lavoro agile e l’obiettivo è mantenere una soglia non inferiore al 30% anche quando il Coronavirus sarà vinto. Lo smart working secondo il governo sarebbe, infatti, la formula ideale per ridurre l’inquinamento e conciliare lavoro e famiglia.

Un suo uso stabile in dose massiccia meriterebbe sicuramente un nuovo inquadramento, per gestire tutta una serie di voci che vanno dalla produttività agli straordinari.

Già oggi comunque chi è in smart working (la quasi totalità) non riceve più in automatico il buono e ogni ente va per conto suo. Ma per la fase “tre” si dovranno mettere dei paletti: “non solo il diritto alla disconnessione”, avverte Dadone, per cui quei sette euro “non si connettono così tanto” con la paga di chi presta servizio da remoto.

I dipendenti pubblici della Cgil mettono i puntini sulle ‘i’, giustificando il taglio solo nel caso in cui venisse meno “l’ossessione” sugli orari.

Non si può invece aspettare una fase tre per fare concorsi. Dadone dice che 60 giorni di sospensione decretati dal Cura Italia, in scadenza il 18 maggio, sono stati “lunghi”. Ma certo non si può tornare a prove “in maxi aule” e non si può attendere un anno e mezzo per avere la lista dei vincitori.

Ecco perché si studia una norma per concorsi pubblici “digitali” e “veloci”. Meno burocrazia su tutti i fronti, è la ricetta. A partire da regole facilitate per l’occupazione di suolo pubblico, con banchi, ombrelloni o tavoli.

Magari togliendo anche la tassa prevista. E poi, rimarca la ministra, “niente condoni” ma “non è accettabile che servano una miriade di permessi per aprire una finestra”.

(di Marianna Berti/ANSA)

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