Coronavirus, Fase 2: app, test e medici a casa

Persone, medici e dipendenti Ats si sottopongono aii test sierologici al laboratorio d'analisi degli Spedali Civili, durante il coronavirus
Persone, medici e dipendenti Ats si sottopongono aii test sierologici al laboratorio d'analisi degli Spedali Civili, durante il coronavirus, Brescia 27 aprile 2020. Ansa Filippo Venezia

ROMA. – Test per ricostruire le infezioni passate e tamponi per avere la fotografia istantanea dell’ epidemia, mascherine per proteggersi e proteggere gli altri, app per tracciare i contatti di chi risulta positivo e scongiurare la comparsa di eventuali focolai, cure a domicilio: sono gli strumenti previsti per la fase 2, naturalmente accompagnati dalle indispensabili regole igiene che ci hanno accompagnato finora, prime fra tutte lavare spesso le mani ed evitare di toccare bocca, naso e occhi, che sono le principali vie d’ingresso del coronavirus SarsCoV2 nell’organismo.

Ecco la fotografia delle 5 gambe su cui poggia la ripartenza, seppure graduale, del Paese.

TEST: è conto alla rovescia per i test sierologici forniti dall’azienda Abbott che dal 4 maggio dovranno individuare nel sangue gli anticorpi che testimoniano che l’infezione è avvenuta, da circa una settimana a circa un mese prima. In attesa di conoscere le norme applicative, sappiamo che saranno somministrati a un campione nazionale di 150.000 persone in 2.000 Comuni, secondo i criteri fissati da ministero della Salute e Istat. Sesso, sei fasce d’età e attività economica sono fra i criteri che saranno considerati nella selezione del campione, ha detto il direttore centrale dell’Istat, Linda Laura Sabbadini, che guida la parte statistica dell’indagine. Ricostruire questo quadro permette di avere una stima degli asintomatici, ossia di quanti sono coloro che, avendo l’infezione senza sintomi, possono diffonderla.

TAMPONI: rilevano la presenza del materiale genetico del virus nei campioni di muco prelevati da naso e gola e in questo modo indicano se in una persona l’infezione è in corso. Per questo gli esperti ritengono che vadano somministrati parallelamente ai test. Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, ha detto che è atteso a breve un documento con indicazioni per la fase 2″ e che bisogna “spingere molto sull’organizzazione per ridurre la disomogeneità sul territorio”.

APP: se un tampone indica che una persona è positiva, l’app diventa uno strumento importante per tracciare le persone con cui ha avuto contatti. Accese le polemiche che fin dall’inizio hanno accompagnato l’arrivo di questo strumento, soprattutto relative al suo carattere volontario e al rispetto della privacy.

Si attendono ulteriori dettagli sull’utilizzo dell’app selezionata, chiamata Immuni, e sono numerose le richieste di chiarimenti. Il Governo dovrà presumibilmente varare un provvedimento che la renda operativa sul territorio nazionale, anche se volontaria e nel rispetto della privacy, cioè con i dati che risiedono sul dispositivo dell’utente.

MASCHERINE: sono un altro strumento indispensabile in vista della riapertura, ma anche in questo caso non mancano polemiche, non ultime quelle legate alla necessità di renderle disponibili per l’intera popolazione e sul prezzo fissato dal governo in 50 centesimi l’una al netto dell’Iva.

Ne esistono molti tipi in commercio, ma il Dpcm non si esprime a favore di un modello specifico: “possono essere utilizzate -mascherine di comunità, ovvero mascherine monouso o mascherine lavabili, anche auto-prodotte, in materiali multistrato idonei a fornire una adeguata barriera.

Ne sono esenti i bimbi sotto i 6 anni e i disabili che utilizzano altri dispositivi che possono interferire. Soluzioni e divieti si stanno mettendo a punto anche per il trasporto pubblico. Governatori tutti d’accordo su un utilizzo obbligatorio e generalizzato, al chiuso e all’aperto, delle mascherine.

CURE A DOMICILIO: sono una prima linea essenziale per scongiurare emergenze sanitarie come quelle avvenute all’inizio dell’epidemia in Italia. Si basano su circa 500 medici impegnati nelle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) incaricati di seguire i casi sospetti o conclamati di Covid-19 direttamente a casa.

C’è molto da fare anche su questo fronte, considerano che la legge ne prevede una ogni 50.000 abitanti, mentre al momento sono presenti solo in 13 regioni. Intanto la Fnopi chiede che venga istituita la figura dell’infermiere di famiglia. Una figura prevista nel Patto per la Salute ma che, nel nostro Paese, è a regime solo in due regioni”.

Il suo compito, portare l’assistenza sanitaria a casa del paziente, invece che il paziente in ospedale. Ad oggi, 80mila persone in 12 Regioni sono curate nelle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca), piccoli team di camici bianchi ed infermieri territoriali che, dotati di tutte le protezioni previste, seguono i casi sospetti o conclamati di Covid-19 direttamente a casa.

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