Vivere in Venezuela con la pensione, lo sfogo di un connazionale

Pensioni
Lunghe file per ritirare le pensioni

CARACAS – “Straniero per il Venezuela ed anche per l’Italia”. Questo l’accorato sfogo di Bruno Natale. 77 anni, pensionato e da una vita in Venezuela lavorando onestamente come tanti nostri connazionali della sua età emigrati in Venezuela. Oggi, purtroppo, sopravvive come può alla crisi del Paese. Nella sua “e-mail” inviata al nostro Giornale c’è tutta la delusione, lo sconforto e la frustrazione di chi non ha gli strumenti per reagire e cambiare una situazione che sfugge al suo controllo. La sua disperazione è quella di tanti pensionati italiani in Venezuela, obbligati ad una sopravvivenza frugale, misera dopo una vita di lavoro. La pensione maturata nel Paese, si sa, non è sufficiente neanche per l’acquisto dei generi alimentari essenziali. E quella italiana, già di per sé irrisoria, diventa ancora più povera dopo le detrazioni realizzate dalla banca che si fa pagare, da lui, tutti i servizi.

Pensionati
Ritirare la pensione, un calvario che si ripete ogni mese

“In Venezuela (la “mail” è stata inviata prima dell’aumento salariale decretato dal Governo in occasione del Primo Maggio) percepisco 250mila bolívares – scrive Natale -. Posso acquistare solo circa 250 grammi di formaggio”.

E poi la beffa.

“Ricevo dall’Italia – scrive il connazionale – 152 euro ma la banca per l’invio del denaro trattiene 26 euro. Altri 20 se li prende per trasferire il denaro al mio conto corrente”.

A Natale, quindi, restano solo 102 euro, ai quale può sommare i 2,17 dollari della pensione venezuelana. Tanto, infatti, è il suo ammontare dopo l’incremento annunciato dal governo.

Come è consuetudine in prossimità del Primo Maggio, Festa dei Lavoratori, il governo ha annunciato l’aumento del salario minimo. L’ultimo incremento risale a gennaio. I lavoratori che percepiscono il salario minimo, e i pensionati, riceveranno nella prossima busta paga 400mila bolívares. A questi, i lavoratori attivi ma non i pensionati, potranno sommare altri 400mila bolívares di “cestatickets” ((buoni per comprare generi alimentari e medicine che accompagnano lo stipendio, pur senza gravare sul calcolo dei contributi che l’azienda deve versare).

L’aumento salariale

Il salario minimo di 400mila bolívares equivale a circa 2,17 dollari. L’aumento è stato di appena 0,81 centesimi, insufficienti per coprire il “gap” creatosi in soli 3 mesi a causa dell’inflazione galoppante e della svalutazione della moneta nazionale. Infatti, a gennaio, dopo l’aumento, il salario minimo equivaleva a 3,47 dollari, al tasso di cambio ufficiale.

La busta paga dei venezuelani è oggi la  più bassa dell’America Latina. A gennaio di quest’anno, la classifica salariale, in Sudamerica, era comandata dal Costa Rica, con 559 dollari seguito dall’Ecuador, con 400 dollari; dal Guatemala con 388 dollari; dall’Uruguay con 377 dollari, dal Cile con 373 dollari. Il Venezuela, nell’Ambito dell’America Latina, è fanalino di coda, dietro a Haiti e Cuba, il cui salario minimo è rispettivamente di 67 e 15 dollari.

Le organizzazioni imprenditoriali reclamano un pacchetto di provvedimenti che permetta all’industria la ripresa della produzione, la creazione di posti di lavoro e, di conseguenza, all’economia di tornare a crescere. C’è chi avanza la proposta di un coraggioso piano di privatizzazione delle aziende mal gestite dallo Stato, di un aggressivo piano di incentivi agli investimenti e il finanziamento di grosse opere pubbliche. Ma il Venezuela, ormai, non ne ha le risorse. E il governo si limita ad azioni di carattere populista, come il commissariamento di note aziende produttrici di beni essenziali e generi alimentari, aumenti salariali e annunci di nuove nomine ministeriali come quella di  Tareck El Aissami, ora ministro di Idrocarburi. E, grazie anche ad una efficiente macchina propagandistica, ad addossare ogni responsabilità della crisi alle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e alla politica d’isolamento promossa dall’Osa e dall’Ue.

M.B.

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