Johnson torna e frena: “Presto per togliere il lockdown”

Il premier britannico Boris Johnson rilascia dichiarazioni a Downing Street a Londra, dopo essere stato curato dal Covid-19, nello scorso mese d'aprile.
Il premier britannico Boris Johnson rilascia dichiarazioni a Downing Street a Londra. Archivio. (ANSA/ EPA/NEIL HALL)

LONDRA.  – Da colomba a guardiano del lockdown in una manciata di settimane: passando attraverso il dilagare del coronavirus nel Regno Unito, ma anche l’odissea personale del contagio, del ricovero in ospedale, di tre notti da incubo in rianimazione seguite da 15 giorni di convalescenza.

Boris Johnson è tornato oggi al lavoro di governo a Downing Street, un mese dopo essere risultato positivo al Covid-19, presentandosi con un discorso alla nazione in cui ha incoraggiato i britannici a sforzarsi di vedere la luce in fondo al tunnel – ha parlato di “un inizio d’inversione di tendenza” nella battaglia contro il morbo -, ma anche detto no a un allentamento prematuro delle restrizioni per scongiurare lo spettro vero: “un secondo picco” che sarebbe “disastroso” a livello sia umano sia economico.

Il premier conservatore, 55 anni, convinto di essere stato in bilico fra la vita e la morte prima di Pasqua nelle 48 ore più delicate del transito dal St Thomas Hospital di Londra ha interpretato se stesso. E tuttavia – apparentemente – anche un uomo nuovo. Il suo è stato un intervento farcito dell’ottimismo di sempre, della rivendicazione disinvolta dei meriti di un’azione di governo su cui negli ultimi tempi le critiche si sono in realtà moltiplicate, di scampoli di retorica faconda e immaginifica. Ma pure di cautela, rigore addirittura sulla necessità di prendere sul serio l’emergenza, di non precipitare i tempi di una fase 2 che per l’isola resta di là da venire.

A dargli una mano sono piovuti i dati di giornata sul numero di morti registrati nel Paese, per la seconda volta di fila al minimo da fine marzo: 360 dopo i 413 di ieri. Ma si tratta di cifre ancora non consolidate sullo sfondo d’un bilancio comunque pesante, di oltre 21.000 morti e 155.000 contagi censiti, e che non tengono conto delle vittime extraospedaliere; né cancellano la tragica prospettiva d’un potenziale record europeo finale di decessi, in cifra assoluta, nel Regno della Brexit.

Il passaggio a una fase di “graduale” riapertura è “vicino”, ha assicurato, ma non ancora raggiunto. Non senza elogiare i connazionali per “lo spirito di unità e determinazione”, sul modello del quasi centenario capitano Tom Moore, veterano di guerra capace d’ispirare una raccolta fondi record per il servizio sanitario nazionale (Nhs), e al contempo invitarli a “frenare l’impazienza”.

“Questo è un momento di opportunità” e tuttavia è anche “il momento di massimo rischio”, ha avvertito indicando la volontà di fornire nei prossimi giorni dettagli sulla futura exit strategy da un lockdown avviato nella seconda metà di marzo dopo non poche esitazioni e qualche richiamo da parte di un paio di consiglieri scientifici di palazzo a controverse ipotesi alternative di “immunità di gregge”; ma senza impegnarsi su alcuna data.

“So che molte persone – ha insistito, rivolgendosi indirettamente a coloro che fra la gente comune, il business, l’opposizione laburista e la sua stessa maggioranza invocano programmi in tempi brevi per l’alleggerimento della morsa – guardando al nostro apparente successo si domandano se non sia il momento d’allentare le misure di distanziamento sociale”.

Ma per ora non se ne parla: occorre garantire cinque precondizioni chiave, a partire da un calo consolidato del trend sulle morti e dalla certezza ragionevole di poter evitare un secondo picco, prima di consentire al Paese di tornare a respirare attraverso un percorso che lo stesso primo ministro promette di voler discutere con le imprese, le parti sociali, il neoleader del Labour Keir Starmer.

“Io mi rifiuto di buttare via lo sforzo pubblico e il sacrificio” di chi lavora nella sanità e di chi ha perso la vita, ha chiarito al riguardo il nuovo Johnson paladino della prudenza, sebbene riconoscendo, da vecchio libertario, quanto “duro e stressante sia stato l’aver dovuto rinunciare alle nostre antiche e basilari libertà”.

Di fronte, e prima d’ogni altra considerazione, c’è del resto un virus infido da sconfiggere. Un nemico che il premier ammiratore di Winston Churchill ha paragonato a “un rapinatore inatteso e invisibile” nella sua “aggressione fisica”. Un nemico che il Boris di un mese e mezzo fa aveva forse sottovalutato, quello di oggi, “per esperienza personale”, non più.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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