Il Nicaragua dal sandinismo alla magia religiosa

El presidente de Nicaragua Daniel Ortega y su esposa Rosario Murillo. (ANSA)

Il corona virus è una circostanza accidentale e sostanzialmente ignorata dal governo di Managua. Mentre Papa Bergoglio celebrava la settimana santa in una San Pietro catacombale, con la più grande basilica della cristianità nel mondo trasformata dalla quarantena globale nel più intimo tempio della spiritualità, mezzo Nicaragua era percorso da colorite processioni in costume che evocavano la Palestina protocristiana.

A patrocinarle, l’Ente nazionale per il turismo, spinto dalla famiglia e soprattutto dalla signora Ortega; contro la preghiera dei vescovi e dell’Organizzazione Panamericana della Salute a restare tutti a casa in autoisolamento sanitario. Un riflesso della dissociazione culturale e politica che da tempo ormai spacca famiglie e amicizie tra i 7 milioni di nicaraguensi, solo in parte consapevoli.

Nel piccolo paese dell’istmo americano l’infezione è cominciata molto prima, nel 2007, con l’esplodere della passione malata di Daniel Ortega per il potere, che subito ha contagiato tutta la numerosa famiglia a cominciare dalla moglie, Rosario Murillo. oppure è andata all’inverso: secondo autorevoli versioni (“…Tutto un paese fatica a respirare/ un paese intero in mano ad una pazza…”, ha scritto il novantacinquenne poeta e sacerdote cattolico, protagonista e testimone straordinario della storia patria Ernesto Cardenal nel 2019, pochi mesi prima di morire).

L’inferma zero è stata lei e le scarsissime difese immunologiche del marito all’ambizione lo hanno fatto rapidamente soccombere. Una vicenda shakespeariana, dietro un lembo della quale spunta perfino un’accusa di sesso malsano da parte di una figliastra del capo dello stato.

“I giorni non si suicidano, Alessandra/neppure posso dire che volontariamente ci lascino./ Solo invecchiano come fa tutto. Marciscono…”, aggiunge un’altra voce poetica, quella giovanile e però profonda di Alejandra Sequeira, che sembra voler riflettere oltre il contingente.

In Nicaragua i poeti sono più grandi della loro piccola terra (meno della metà dell’Italia), la verità transita per i loro versi. In quelli del massimo profeta, Rubén Darío, può cogliersene l’annuncio. Anche Rosario Murillo scriveva versi già prima che la famiglia di proprietari terrieri in cui è nata la mandasse, giovanissima, a studiare letteratura a Oxford e a Parigi, precoce nelle arti e negli amori. La politica, la guerriglia, la vita a rischio con il Movimento Sandinista, il matrimonio e i figli con Daniel Ortega sono venuti dopo.

Con lei, però, la poesia nicaraguense cessa di nutrirsi della politica esclusivamente come ideale vissuto in termini d’impegno civile, un esempio frequente in America Latina, da José Martì a Pablo Neruda. S’incarna bensì nell’esercizio del potere diretto e prepotente, in un sistema sempre meno repubblicano e sempre più personalistico e corrotto.

Sopraffatte le resistenze del vecchio partito sandinista e di non poca parte dell’opinione pubblica, Rosario ha assunto la vicepresidenza della Repubblica, istituzionalizzando il ruolo di più ascoltata suggeritrice del marito, inaugurato nei tempi ormai lontanissimi del comune esilio clandestino in Costarica. A 69 anni, Rosario è pertanto la persona destinata a esercitarne la supplenza in caso di necessità. Eventualità non solo teorica. Sospesa la poesia.

A irrompere nella politica è la malattia di Daniel, che si presenta anche come una metafora del suo potere tirannico, quello dettato dalle “passioni tristi” (come le chiamava Spinoza). E’ affetto dal lupus, un’infermità autoimmune, in cui l’organismo attacca se stesso e lo corrompe. Estesi eritemi, lacerazioni della pelle, lesioni di organi interni: non si conosce la gravità dello stato in cui sta il presidente. Però da un mese circa non appare in pubblico.

E’ Rosario, sposa e vice, che ne riferisce ogni giorno pensieri e ordini. Il marito è il nuovo fantasma del regime. Evanescente nella sua assente presenza, è diventato l’eloquente ancorché muta espressione di uno scellerato paradosso: rifiuta di chiudere le scuole già svuotate dalla paura, di proteggere il proprio popolo dalla minaccia mortale del Covid19, diventandone così il suo lupus.

Livio Zanotti

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