I venezuelani, qual “cammelli al buio”: senz’acqua, luce e benzina

CARACAS. – Pare che oggi il Venezuela stia soffrendo le “Sette piaghe d’Egitto”. Ed anche di più. Infatti, già da alcuni anni, i venezuelani soffrono le conseguenze della mancanza d’acqua, le costanti interruzioni del servizio elettrico, la carenza di benzina e il deficiente rifornimento di gas. Come se ciò non fosse sufficiente, bisogna aggiungere la carenza di medicine, l’iperinflazione, una rete sanitaria distrutta dalla noncuranza e la corruzione e un livello di denutrizione preoccupante. Ed ora, “dulcis in fundo”, il coronavirus.

“Cammelli al buio”

Con queste parole i venezuelani scherzano per farsi animo. Si raffigurano loro stessi nell’ambito della carenza di servizi che li circondano.

Il servizio dell’acqua potabile fa “acqua” da troppo tempo. Stando ad un sondaggio dell’“Observatorio Venezolano de los Servicios Públicos” (Ovsp), realizzato a dicembre dell’anno scorso, almeno il 13,3 % delle case non la riceve ed altre 9,7 % hanno il flusso un giorno a settimana. Inoltre, il 44,7 % delle famiglie fa uso dell’ acqua conservata nei depositi degli edifici; mentre il 23,7 % degli intervistati pagano i camion-cisterna per riempire i depositi nelle loro case. Il 13 % la prelevano da altre parti. Nella stragrande maggioranza delle città, l’acqua arriva qualche giorno a settimana. Ma alcuni quartieri, in particolare i più umili, possono trascorrere settimane e mesi senz’acqua.

Negli ultimi giorni, nel mezzo dell’emergenza provocata dal Covid-19, gli abitanti di Petare, del 23 de Enero e di Catia (quartieri popolari della capitale), hanno protestato a suon di pentole dai balconi perché da più di 20 giorni non hanno acqua. Poche ore dopo, il governo ha militarizzato i tre quartieri.

I venezuelani nemmeno “vedono” molto la luce. Le interruzioni del servizio elettrico nella provincia sono frequenti e la situazione è ogni giorno più drammatica. Ora ne soffre le conseguenze. anche Caracas, la capitale. In provincia la situazione diventa drammatica.

Lo stesso sondaggio del Osvp indica che a San Cristóbal, Barquisimeto y Maracaibo – le tre città più importante dopo Caracas-  soffrono blackout tutti i giorni. I casi di interruzioni del servizio elettrico registrate da un’altra Ong, il “Comité de afectados por apagones”, sono state 87.000 nel 2019. Nelle reti social sono continue le denunce di guasti e interruzione del servizio elettrico che superano le 72 ore o più.

File chilometriche per la benzina

Pur essendo un paese petrolifero, in Venezuela manca gas e benzina. Dal primo governo di Chávez ad oggi, vent’anni ininterrotti di “chavismo”, la produzione di petrolio, stando alle cifre ufficiali, è crollata da 3,3 milioni di barili al giorno a meno di 900 mila. Dal canto suo, la raffinazione è calata da un milione 300 mila barili giornalieri a 40 mila barili, secondo la Commissione di Energia del Parlamento. Quindi, si è creato un deficit di 110 mila barili. La produzione non è più sufficiente per soddisfare il consumo interno; consumo che a su volta è sceso di 500 mila barili al giorno dopo la diaspora di cinque milioni di venezuelani e della recessione economica dell’ultimo decennio.

Sono riapparse di nuovo le file di auto di fronte alle stazioni di servizio della capitale. Nella provincia sono sempre esistite. In pieno lock-down per la pandemia, sono chiusi il 95% dei benzinai nel paese. Ed il suo uso è stato ristretto, per decreto dell’Esecutivo, a otto categorie, considerate trasporti d’emergenza.

L’attesa per fare rifornimento a Caracas, dove appena lavorano una mezza dozzina di distributori di benzina, puó durare sette ore ed anche di più. Spesso in provincia, gli automobilisti, stando alle denunce che corrono nella rete, devono pagare una tangente agli agenti della Guardia Nazionale, per 20 litri di benzina che nel paese è praticamente gratuita. Intanto, indiscrezioni diffuse all’interno della holding petrolifera statale Pdvsa, segnalano che “non ci sarebbe più benzina” nel Paese perché sarebbero finiti i soldi per importarla. Di conseguenza, anche il gas domestico, che nelle zone povere è distribuito ancora attraverso bombole scarseggia.

 Ospedali malati

Nel settore sanitario, la situazione non migliora, anzi. Gli ospedali pubblici sono in precarie condizioni nella loro stragrande maggioranza, trascurati dal governo che ha preferito dare priorità alla costruzione di “Centros de Diganostico Integral” (CDI) e servizi ambulatori nei “barrios”, ora abbandonati al proprio destino.

Uno studio della “Organización de Médicos por la Salud” nel 2019 ha rilevato che manca acqua potabile nel 70% degli ospedali del paese. La ricevono in forma intermittente una o due volte la settimana. Inoltre, il 53% degli ospedali non dispone di mascherine per evitare i contagi e la carenza di medicine colpisce l’80% dei centri ospedalieri.

Il ministro d’informazione, Jorge Rodriguez, assicura che nel paese sono disponibili 1.200 posti letto per cure gravi come il Covid-19. Il presidente ad interim, Juan Guaidó, lo nega e sostiene che solo sono disponibili 84 posti letti con ventilatori.

Il governo afferma di avere sotto controllo l’emergenza con le misure di lock-down prese, avendo riscontrato oltre 100 casi di Covid-19 fino al momento. Assicura che 18.000 venezolani sono stati diagnosticati “on line” e che si sono stabiliti la meta di fare “due milioni” di test la prossima settimana.

Su questo punto, la presidentessa della Ong “Control Ciudadano”, Rocio San Miguel, ha twittato: “Germania ha una capacità per fare 160.000 test a settimana. Italia 150.000 test. UK 50.000 e Spagna 30.000. Voi gli credete?”.

L’ultimo della classe

L’indice della Global Health Security Index del 2019, che pubblica l’Università John Hopkins sulla preparazione dei sistemi di salute per affrontare una minaccia infettiva colloca il Venezuela nel 176esimo posto tra 195 paesi studiati e nell’ultimo posto in Sud America.

E forse non a caso, l’Onu ha lanciato un piano antivirus di due miliardi di dollari rivolto ai paesi più deboli e vulnerabili, tra cui Venezuela, Afghanistan, Libia, Siria, Centrafrica, Sud Sudan, Yemen e Ucraina,

Da qualche settimana, come in altri paesi, il governo obbliga a restare a casa. Ma sono tanti coloro che vivono “alla giornata” e  l’economia sommersa è l’unica fonte di guadagno.

“Interesante. Obblighiamo la gente a stare in casa e non ci preoccupiamo della loro economia. Ovvero del reddito per acquistare cibo e medicine, né dell’acceso all’acqua e all’elettricità e così li condanniamo a morire di fame per salvarsi dal virus. Brillante”, ha commentato con un tweet l’economista ed esperto in opinione pubblica, Luis Vicente León.

In questo frangente, le forze dell’ordine reprimono proteste e arrestano oppositori, giornalisti e denuncianti. Maduro attribuisce la crisi alle sanzioni degli Stati Uniti e accusa all’opposizione di avere “piani per destabilizzare” il paese e provocare la caduta del governo.

Condito con una iperinflazione ufficiale del 9.585 % nel 2019 e del 130.000% nel 2018 e con 6,8 milioni di persone (rapporto della FAO) denutrite e che soffrono la fame, gli analisti ritengono che il “piatto” per un’esplosione sociale è così servito.

Sono sempre più gli osservatori a lanciare l’allarme sulla crescita del malessere che – a loro intesa- sta spingendo il paese verso una “tormenta perfetta”, se la pandemia dovesse esplodere come tutti temono.

Roberto Romanelli