Si spegne la Ferriera, finisce una storia di 123 anni

L' acciaieria Ferriera di Trieste.
L' acciaieria Ferriera di Trieste. (ANSA)

TRIESTE.  – La costruzione, l’approntamento della Ferriera, fu progressiva e seguì un iter che somiglia all’incontrario alla fase avviata oggi. All’epoca si cominciò dall’altoforno per poi realizzare la cokeria, un forno Martin, un laminatoio. Era il 24 novembre 1897 quando l’impianto siderurgico tecnologicamente avanzato cominciò a funzionare.

Un gioiello nato da un progetto avviato nel 1894, quando la Krainische Industrie Gesellschaft (KIG), su suggerimento della Ditta Eulambio di Trieste costruì un impianto che fornisse ghisa e ferroleghe. Oggi, 123 anni dopo, al termine di lunghe lote politiche, la Ferriera viene definitivamente spenta.

Questo pomeriggio, nonostante il Coronavirus abbia impedito la firma di un Accordo di programma, via alle procedure: ultimo “caricamento” in cokeria, ultimo turno di lavoro, poi fino al 17 aprile saranno spenti cokeria, altoforno e centrale elettrica (non il laminatoio). Non è solo una fabbrica che chiude, è un pezzo fondamentale della storia di Trieste e della produzione siderurgica del Paese che si conclude.

“La ghisa è un prodotto a basso valore aggiunto e a mio parere negli ultimi venti anni per questo impianto sono stati buttati 800 milioni di euro” dice il sindaco, Roberto Dipiazza, che di questa chiusura ha fatto da anni il proprio cavallo di battaglia. Al suo posto, ci sarà l’estensione della “piattaforma logistica di 26 ettari, lo sbocco sull’autostrada della piattaforma stessa, lo sbocco ferroviario verso Villa Opicina”.

Il mare, perché è sul porto, il primo in Italia, perche qui che si puntano le carte per lo sviluppo della città. Ma più di un filo di inquietudine vela l’iniziativa: “Finisce nel momento peggiore, e la nostra prima preoccupazione sono i lavoratori”, 500 circa, il cui destino – la cig – sembra oggi meno sicuro di quanto non fosse qualche settimana fa.

L’assessore Fvg alla Difesa dell’ambiente, Fabio Scoccimarro, vede dopo “la dismissione dell’area a caldo, il potenziamento delle attività industriali decarbonizzate”. Basta inquinamento.

Non ne è convinto un ex politico locale, Roberto Decarli che per tutta la vita si è occupato della fabbrica attraverso i vari passaggi da Pittini a Lucchini, dai vari commissari fino alle lotte di piazza pochi anni fa con gli operai in tenda nella centrale piazza Borsa per settimane, nonostante la Bora invernale per opporsi alla chiusura, fino all’ultimo proprietario, Arvedi.

“É una giornata triste, per l’industria, per la città, che cade in un contesto ancora più triste – dice Decarli – temo che sarà un problema la disoccupazione, che, sommata all’emergenza Coronavirus, darà vita a un disastro”.

(di Francesco De Filippo/ANSA)