Coronavirus: all’ospedale Sacco la vita non si ferma, nati undici bambini

La foto postata dall'associazione di Neonatologia del Niguarda con il bimbo con il pannolino arcobaleno.
La foto postata dall'associazione di Neonatologia del Niguarda con il bimbo con il pannolino arcobaleno. (ANSA)

MILANO. – La vita non aspetta. Non si ferma in quarantena, non si ferma per un virus. Neanche uno così feroce come il Covid-19, che in Lombardia si sta portando via, giorno dopo giorno, centinaia di persone. All’ospedale Sacco di Milano, primo ospedale Covid-19 e centro di riferimento in Lombardia, in questo mese di emergenza e quarantena sono nati 11 piccoli da mamme positive.

Il reparto di Ostetricia del Sacco “è pieno”, racconta all’ANSA la responsabile Valeria Savasi, e ad oggi ospita circa quaranta neo e future mamme tutte Covid positive e in isolamento. “Non è un momento semplice per loro – racconta la dottoressa -. Sono qui sole, in un reparto ad alto isolamento, hanno solo noi” e “sono circondate da persone coperte da mascherine, guanti, camici, visiere, cuffie, ma per quanto spaventate dimostrano sempre una grande forza e anche tanta consapevolezza, comprendono bene la situazione”.

Tra parti naturali e tagli cesarei, anche il lavoro in sala parto è cambiato da quel 20 febbraio che ha messo in stand-by tutto, tranne la voglia di venire al mondo: “è tutto diverso ed è impegnativo e faticoso, prima avevamo un rapporto molto più di contatto, più umano, ora questo non è possibile. In quei momenti anche una mano sulla spalla può essere di aiuto, dare forza”.

E il distacco diventa immediato anche tra mamme e bebè, i quei primi momenti in cui imparano a (ri)conoscersi: chi è positiva al Covid-19 e soprattutto con sintomi evidenti non solo deve indossare i dispositivi di protezione anche durante il parto “ma non può abbracciare il piccolo appena nato, lo ‘skin-to-skin’ è abolito, così come non c’è l’allattamento e a queste mamme manca anche il supporto dei mariti e dei compagni, perché siamo in un reparto isolato” in cui i famigliari non possono entrare.

Dall’inizio dell’emergenza Savasi sta conducendo con il suo team anche alcuni studi legati “all’ansia, alla paura e alla parte più emotiva di questi parti ai tempi del coronavirus, per vedere come e quanto influiscono” su ogni donna che vive questo momento.

“Sono fattori che avranno sicuramente risvolti futuri, la ricerca anche in queste situazioni è molto importante e può dirci molto su come comportarci in futuro”, ha spiegato. Benché lo scenario che ha di fronte agli occhi la dottoressa non sia quello da bollettino di guerra dei nuovi contagi o peggio delle vittime del coronavirus, questa emergenza “preoccupa molto anche noi e ci rende ancora più attenti e scrupolosi, d’altra parte noi abbiamo sempre due pazienti, due vite di cui prenderci cura: la mamma e il suo piccolo”.

(di Giulia Costetti/ANSA)

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